Via giudiziaria in politica internazionale
E' molto diffusa nella nostra epoca l’idea che il mondo possa essere un tutto ordinato, in cui gli Stati osservino regole e principi precisi e imprescindibili, uguali per tutti. Si pensa, in altri termini, che si possa instaurare nei rapporti internazionali e nei conflitti fra Stati un ordine giuridico analogo a quello che vige all’interno di uno Stato, e che possa esistere quindi una via giudiziaria per stabilire chi ha torto e chi ha ragione, punendo chi infrange tali regole (tribunali internazionali).
In uno stato esiste un potere costituito riconosciuto che emana leggi precise e al quale il cittadino non può sottrarsi: allora è poi veramente possibile instaurare un ordine del genere cosa a livello internazionale dove non esistono tali presupposti ?
Cerchiamo di rispondere a questa domanda.
Esaminiamo uno dei principi fondamentali: nessuno Stato può aggredire un altro Stato. Facciamo un esempio che è al centro dei discorsi in tutto il mondo (occidentale). Nel conflitto in Ucraina, la Russia è l’aggressore, l’Ucraina l’aggredita, e quindi, per conservare non solo l’Ucraina ma soprattutto l’ordine mondiale, bisogna lottare con l’Ucraina contro la Russia: sembra qualcosa di autoevidente.
Ma, in effetti, tanto autoevidente non è, se non solo la Russia, ma anche la maggioranza del mondo (Cina, India e molti altri paesi) non condivide affatto questa lettura dei fatti.
Proviamo allora ad applicare questo principio ad altri fatti storici. Con un tale criterio, allora, le nostre guerre di indipendenza furono un’aggressione all’Austria, così come la spedizione dei Mille, sostenuta in modo ambiguo da Cavour. Tuttavia, noi italiani esaltiamo quelle imprese, le consideriamo giuste, parliamo di Risorgimento perché esse rispondevano al principio dello Stato nazionale: ogni nazione ha diritto ad avere un suo Stato, cioè a essere libera. Ovviamente, questo principio non era certo condiviso da tutti: anzi, la maggioranza degli stessi italiani non lo condivideva affatto, ed esso era soprattutto diffuso nelle borghesie colte.
Se poi esaminiamo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, vediamo che, in effetti, l’invasione della Cecoslovacchia e poi della Polonia erano giustificate dallo stesso criterio di nazionalità, perché la Germania voleva annettersi (liberare) terre popolate soprattutto dai tedeschi (i Sudeti, Danzica e il Baltico tedesco). In effetti, dal punto di vista formale, furono Francia e Inghilterra a dichiarare guerra alla Germania. In questo caso, però, pensiamo che annettersi (liberare) quelle terre germaniche fosse solo una scusa per espandersi, asservire altri popoli, appropriarsi di quello che veniva definito spazio vitale, e che il fine ultimo fosse un dominio tedesco su tutta l’Europa. E mi pare che questa interpretazione fosse ben fondata, per cui il torto era tutto della Germania e la ragione tutta degli Alleati.
Si adottava, cioè, un criterio politico opposto a quello del nostro Risorgimento.
Se consideriamo gli avvenimenti successivi,
troviamo procedimenti politici analoghi.
L’URSS che interviene in Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia dice di difendere la
rivoluzione comunista contro i complotti capitalistici. L’intervento USA in
Corea, Vietnam, Cuba e in molte altre aree viene giustificato come lotta per la
libertà contro la minaccia comunista. Dopo l’11 settembre, l’invasione
dell’Afghanistan, poi dell’Iraq, e tanti altri interventi in Medio Oriente erano
giustificati come difesa contro il fanatismo islamico.
Tutto questo ci fa comprendere come il fatto giuridico dell’intervento contro uno Stato sovrano o nelle sue lotte interne sia sempre giustificato da una visione politica che possiamo o meno condividere, secondo le nostre convinzioni. La conseguenza logica è che non si possono giudicare i fatti politici secondo principi giuridici (nel caso della non aggressione). In altri termini, la politica si muove su considerazioni politiche e non giuridiche: sono due ordini ben distinti di criteri. Il piano politico è legato a interpretazioni derivanti da principi ideologici che variano nel tempo e nello spazio e non sono condivisi universalmente (come il principio di nazionalità, la lotta contro il comunismo o il capitalismo, la minaccia del fanatismo religioso), mentre il piano giuridico dipende da principi uguali per tutti e oggettivi.
Tornando all’esempio dell’Ucraina, è senz’altro vero, dal punto di vista giuridico, che la Russia ha invaso l’Ucraina, ma questo fatto può essere interpretato sul piano politico come un’azione per liberare i connazionali russofoni già in rivolta e/o per contrastare la NATO in Ucraina, considerata una minaccia per la sopravvivenza della Russia stessa. La valutazione di queste motivazioni non può essere un fatto giuridico, ma solo politico, legato a ideologie diverse e contrastanti.
Un discorso analogo si può fare per i tribunali internazionali, sulla cui funzione sarei molto scettico.
Prendiamo, ad esempio, il clamoroso caso di
Al-Masri, che le autorità italiane hanno riportato in Libia.
Una cosa è se si tratta di un rapinatore o di un uxoricida: nessun problema.
Ma nel caso di Al-Masri, si parla del capo di un carcere orrendo, in cui
avvengono atrocità. È vero. Però, consideriamo che tutte le carceri del Medio
Oriente, dell’Africa e, in generale, dei Paesi del Terzo Mondo sono così: perché
allora non arrestare tutti i loro direttori? Pensiamo, ad esempio, alle violenze
sessuali nelle carceri dell’Iran, a quello che è avvenuto a Regeni in Egitto, ai
massacri in Siria.
E poi, perché arrestare solo Al-Masri e non i governanti di Tripoli?
Non sappiamo, inoltre, se dopo ne verrebbe uno migliore o peggiore. È vero che
questi processi portano discredito per gli indiziati, ma non nel loro paese e
nelle loro culture di appartenenza: anzi, magari aumentano il loro prestigio
contro i "malvagi colonialisti occidentali".
Infatti, Al-Masri è stato accolto come un eroe. Ma eroe di che? Forse di aver messo paura agli occidentali?
Ma, a prescindere dall’evidente impossibilità pratica, si può pensare realisticamente che arrestando Putin, Netanyahu e Al-Masri cambierebbero la guerra in Ucraina, le tragedie del Medio Oriente e la sorte dei migranti? Sarebbero semplicemente sostituiti da altri che farebbero più o meno le stesse cose, così come è avvenuto per i capi di Hamas.
Infatti, gli israeliani hanno sempre metodicamente ucciso tutti i capi di Hamas, a cominciare dal primo, un iman cieco, ma Hamas non è certo cambiata. Anche se Rabin non fosse stato ucciso, non si sarebbero comunque fatti i due Stati, a causa del dilagare del fanatismo religioso, sia islamico che ebraico.
I problemi storici non si risolvono colpendo quelli che li guidano.
Si tenga soprattutto presente che Il diritto non tiene conto delle conseguenze: applica la legge e basta mentre la politica invece tiene soprattutto conto delle conseguenze Quali conseguenze avrebbe avuto nei nostri esempi l’arresto di Al masri, forse sarebbe piu facile raggiungere la pace arrestando Putin e Netanyahu: certamente no
D’altra parte, perché noi occidentali ci arroghiamo il diritto di imporre i nostri principi a Paesi che non vogliono accettarli?
Possiamo poi veramente pensare che certi tizi, nominati giudici, possano realmente giudicare le vicende storiche?
In conclusione, direi che l’impossibilità di avere, a livello internazionale, un ordinamento giudiziario modellato su quello nazionale non dipende dalla mancanza di buona volontà dei politici, ma da ragioni oggettive.
In primo luogo, manca un’autorità superiore ai singoli Stati in grado di imporlo: anche i vari organismi internazionali (primo fra tutti l’ONU) sono formati da Stati sovrani, e le decisioni vengono prese a maggioranza seguendo orientamenti politici, piuttosto che basandosi su precise leggi (cosa difficile persino per i magistrati).
Ma soprattutto, i principi e, ancor di più, la valutazione dei fatti possono variare enormemente a causa delle profonde differenze culturali. Si pensi, ad esempio, alla questione palestinese: per gli integralisti ebraici, la Palestina è stata assegnata agli ebrei da Dio stesso, mentre per gli integralisti islamici è stata assegnata ai musulmani. Il resto del mondo si schiera con gli uni o con gli altri in base alle motivazioni più diverse: la lotta al colonialismo, la difesa della democrazia o altre ragioni, talvolta bizzarre. Tutto dipende dalla cultura di appartenenza.
Possiamo davvero credere che una questione simile possa essere risolta con cavilli giuridici?
D’altra parte, se consideriamo che le grandi civiltà sono nate dall’espansione di un’entità politica che ha conquistato le altre, possiamo davvero essere certi che l’aggressione a un altro Stato sia sempre un male?