OBAMA FOR PRESIDENT
OBAMA E LA DEMOCRAZIA AMERICANA
Giovanni De Sio Cesari
La elezione di Obama puo essere considerato un fatto storico per il valore emblematico che essa ha in riferimento alla sua origine razziale. Tuttavia, se consideriamo i programmi dei due candidati, non è poi molto facile individuare le differenze programmatiche e questo perchè effettivamente non esistono delle vere e proprie fratture. Si tratta in realtà più che altro di sensibilità diverse con cui vengono presentate due programmi sostanzialmente simili. In mancanza di vere e profonde differenze programmatiche vengono quindi in primo piano le caratteristiche personali dei candidati, il loro modo di presentarsi, il loro vissuto personale, le loro famiglie e, nel caso di Obama, il colore della pelle ha giocato un ruolo certamente centrale. Potrebbe sembrare allora che nella democrazia americana non vi sia una vera scelta ma che i giochi siano già fatti alle spalle degli elettori ai quali viene permessa solo una scelta in fondo marginale e da qui la impressione che le elezioni siano semplicemente una formalità senza che si abbia una scelta “vera” In realtà non è cosi : la scelta è invece effettiva e sostanziale se si considera come si arriva alla designazione dei candidati . In America, come nelle democrazia più mature ed efficienti, abbiamo due partiti (o schieramenti ) che scelgono il candidato e il programma che ritengono possa incontrare il favore dell’elettorato: in pratica i due candidati sono molto vicini e vincono con un modesto scarto perche in ambedue i casi si è tenuto già presente l’orientamento dell’elettorato E’ vero quindi che gli elettori hanno una scelta limitata ma i candidati sono stati scelti già in modo da corrispondere all’orientamento della maggioranza
Potremmo lasciare che ognuno scelga il candidato o almeno il gruppo politico che preferisce cosi come avveniva tradizionalmente in Italia ma in questo abbiamo un gran numero di partitini che non solo rendono difficile poi la governabilità ( con crisi della stessa democrazia) ma anche il fenomeno che una piccola minoranza possa imporsi alla maggioranza: l’ultimo governo italiano non era in grado di governare per le differenze dei tanti partiti che lo sostenevano ed è alla fine caduto per opera di un partitino che poi e’ sparito dal parlamento Anche in Italia,però, ci si orienta anche in mezzo a grande difficoltà e incertezze verso lo stesso modello. Per fare un esempio la sinistra ha presentato Veltroni perche poteva anche vincere in quanto il suo programma in fondo era quello richiesto dalla maggioranza degli italiani e per questo in sostanza non molto lontano da quello presentato da Berlusconi che poi ha vinto effettivamente: se la sinistra avesse scelto ad esempio Ferrero allora Berlusconi avrebbe ottenuto il 80 o 90% dei voti Ma in democrazia simili percentuali (dette bulgare) non si presentano e comunque sono sospette .
In Italia per lungo tempo questo tipo di democrazia non è stato possibile per la presenza di una forte minoranza comunista che era ritenuta ( o almeno era sospettata ) di sostenere un altro modello di governo, quello sovietico, a partito unico. Avveniva allora che se la DC governasse bene o male importava poco: quelli che erano contro il comunismo comunque votavano DC perche pensavano che per quanto male avesse governato comunque era migliore del comunismo : chi credeva nel comunismo pensava che, per quanto bene avesse governato la DC , comunque il comunismo era migliore La democrazia rimase bloccata perche essa funziona veramente se la grande maggioranza dei cittadini la accetta: se una parte consistente (oltre il 30%) guarda ad un altro sistema come quello comunista questo significa che non si può realizzare il principio della alternanza e allora come si disse "bisognava turarsi il naso e votare DC “ Una democrazia bloccata, imperfetta, come pure si disse: non c'è da meravigliarsi che negli altri paesi europei dove il partito comunista non era importante , la democrazia si è maggiormente sviluppata nella coscienza della gente: da noi troppi ancora pensano ai massimi sistemi e non in concreto quello che viene effettivamente fatto
Ma la politica è l'arte del possibile hic et nunc (qui ed ora ) non se il mondo fosse diverso, se gli uomini non fossero avidi, se fossero più religiosi , se non ci fosse la religione e se si verificassero altre ipotesi che non si verificano affatto
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GLI IDEALI AMERICANIUna nazione sotto l'ala di Diodi Ernesto Galli Della Loggia Corriere della Sera 09/11/08
«La vera forza della nostra nazione non scaturisce dalla potenza delle nostre armi o dalla misura delle nostre ricchezze, ma dal richiamo intramontabile dei nostri ideali: democrazia, libertà, opportunità e una speranza indomita ». E’ racchiuso in queste parole, pronunciate da Barack Obama a Chicago, la notte della vittoria, il senso più vero della sua elezione alla presidenza degli Stati Uniti: il «richiamo intramontabile dei nostri ideali». Un'elezione che nella sua essenza non possiede tanto un carattere estrinsecamente politico, non ha tanto a che fare con le categorie di liberal, di progressista, o quant'altro, ma esprime piuttosto lo straordinario bisogno della comunità americana di sentirsi intimamente animata e guidata da un'alta ispirazione ideale, e insieme la sua capacità e il suo modo peculiarissimo di soddisfare tale bisogno nei momenti di crisi, d'incertezza, quando diviene chiaro che bisogna affrontare nuovi compiti, intraprendere un cammino nuovo. A ogni nazione capita in tali momenti di fare appello ai motivi e ai valori del proprio stare insieme: di richiamarsi cioè alla propria storia e alle sue ragioni. Le quali ragioni, tuttavia, proprio perché legate alla storia, al tempo e al suo trascorrere, sono anche, inevitabilmente, soggette spesso a consumarsi e a corrompersi. Con il risultato che il richiamarsi ad esse finisce per suonare vuoto e retorico, risultando alla fine del tutto inefficace e magari politicamente controproducente. Nel caso degli Stati Uniti ciò non avviene. Avviene anzi il contrario, avviene cioè che il richiamo al passato si manifesti costantemente come eccezionale risorsa politica, per una ragione che chiunque ha potuto percepire con chiarezza guardando le immagini della notte magica di Chicago. Perché esso non è propriamente un richiamo alla storia, a «una» storia, ma è il richiamo a una fortissima ispirazione originaria di carattere ideale, a quella ispirazione costituita dalla religione, dal Cristianesimo nella sua declinazione biblico-giudaica propria del Protestantesimo. Per riprendere forza l'America non guarda al passato, non guarda indietro, guarda in alto, a Dio. Da lì sente venire «la speranza indomita» e «la chiamata », come ha detto il neopresidente Obama con un termine che sarebbe impossibile ascoltare sulla bocca di qualunque statista europeo. Da qui, dunque, il tono sempre obbligatoriamente profetico-visionario che in modo del tutto naturale prendono in quel Paese la «grande» politica e il suo discorso pubblico. Da qui anche—cosa ben più importante — la costante spinta alla «grandezza» che riceve la politica, sollecitata, specie nei momenti di crisi, a essere all'altezza dell'originaria ispirazione religiosa che presiede all' esistenza della comunità. Sollecitata altresì a trovare personalità nuove e carismatiche capaci di incarnare e dare voce a quell'ispirazione. Sempre da qui, infine, un altro fenomeno di straordinario rilievo: cioè il fatto che negli Stati Uniti, come è per l'appunto avvenuto con la recentissima vittoria dei democratici, ogni proposta di cambiamento, di riforma, anche quella dalla portata più radicale come l'elezione di un nero alla guida del Paese, è in grado di presentarsi facendo appello all'ideale originario. E’ quindi in grado di presentarsi sempre in una veste rassicurante, in certo senso di conservazione, non divisiva, ma anzi capace di aggregare dietro di sé una vasta maggioranza. Negli Usa ogni rivoluzione si presenta nella sostanza come una restaurazione: è l'adempimento dell'antica «promessa» giudaico-cristiana che si manifesta nella «speranza indomita» nei valori universali della persona umana. Tutto ciò sottolinea la siderale distanza che ci separa, che separa tutti noi europei, di destra, di centro e di sinistra, dal panorama umano e storico che si stende tra i due oceani. All'origine delle nostre comunità politiche non ha potuto esserci alcun covenant, alcun patto religioso, alcuna promessa di «una città sulla collina»: e forse è proprio per questo che oggi ci tocca assistere allo spettacolo paradossale di tanti portabandiera del laicismo nostrano che piegano le ginocchia, rapiti, davanti al nuovo Mosè d'Oltreatlantico.
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