A SETTEFRATI , UN TEMPO
Inizia una nuova serie di racconti nella quale l'autrice rievoca alcuni episodi della sua vita nella Settefrati del dopoguerra |
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PAPA’ RITORNA
Il 10 gennaio 1947 era una sera limpida e stellata,la luna illuminava le strade scure del paese. Faceva tanto freddo in giro non c’era nessuno, nemmeno i ragazzi in piazza a giocare a palline.
Io, la nonna e la mamma eravamo sedute vicino al fuoco che quasi si spegneva. Inutile mettere altra legna a bruciare tra poco saremmo andate a letto. La nonna seduta sulla panchina a un lato del camino aveva finito di lavorare coi ferri e aveva preso la corona che aveva sempre in tasca e si recitava il rosario. Ogni tanto cadeva dal sonno e scapezzava mormorando un Ave o un Pater poi si svegliava di soprassalto e con un balzo ricominciava le sue preghiere. La mamma sedeva all’altro angolo, il viso sempre mesto con gli occhi tristi guardava lontano non so dove. Io stavo seduta sul gradino di fronte al focolare, imparavo la poesia che dovevo recitare il domani a scuola. La poesia era intitolata “la camicina” l’avevo letta un paio di volte alla luce del lumicino e l’avevo memorizzata.
Erano passati anni dalla fine della guerra ma l’impianto elettrico non era ancora stato riparato in paese. Il lumicino acceso faceva poca luce e mandava grandi ombre sul muro. A me parevano tanti giganti che si muovevano nell’ombra. Lo stoppino della lucerna bruciava e mandava un filo di fumo nero verso la soffitta lasciando macchie nere .
Tra me pensavo:"chissa’ come sarebbe orgoglioso papa’ se mi sentisse recitare". Avevo pregato tanto, avevo scritta la letterina a Gesu’Bambino che avesse fatto tornare mio padre. Ma un altro Natale era passato e anche l’Epifania e di mio padre nessuna notizia. Mio padre era ancora in un campo di concentramento nel territorio del Tanganica. Lo zio Michelangelo si era informato tramite la Croce Rossa di quando avremmo potuto rivederlo ma non gli avevano detto niente di definitivo.
Mentre noi tre eravamo assorte ognuna nei nostri pensieri, qualcuno busso’ alla parta. Credevo si trattasse di mio zio Paolo, era tornato pochi mesi prima e ogni sera prima di andare a dormire veniva a darci la buona notte. Corsi alla porta chiamando il suo nome. Prima che arrivai alla porta l’uscio si apri e due forte braccia mi presero mi abbracciarono e mi stringevano forte. Io gridai e menavo pugni mentre cercavo di svincolarmi . Corse subito la mamma, aveva capito all’istante di cosa si trattava. Nonna Rosa ,insonnolita ancora, non si era accorta di niente......ma solo per pochi secondi poi anche lei capi’ e corse verso la porta. Io non capivo piu’ niente, questo sconosciuto ora abbracciava mamma, ora nonna e a me non mi lasciava andare. Voci confuse mi arrivavano “e’ papa’ e’ papa’” e lo straniero :”sono papa’, Delia,sono tuo padre Mamma non diceva niente . ...piangeva e rideva. Poi cominciai a capire ,era mio padre ,Papa’ era tornato. Ancora baci e abbracci per tutti.
Certo non lo avevo riconosciuto ,non lo avevo mai visto, ero nata dopo che egli era andato in Africa. Nelle fotografie che avevo di lui non sembrava la stessa persona
Il padre che avevo per tanti anni desiderato era tornato. Ora anche io avevo un padre come tutte le amichette mie. Ancora eravamo abbracciati tutti .
Poi nonna si stacco da noi si inginocchiò per terra si fece il segno della croce, disse una preghiera rese grazie a Dio dicendo:” te ringrazie Signor mi sie fatte riveni tutti gli figli a casa”baciò la terra e si rialzò
Delia Socci Skidmore