PRIME ESPERIENZE IN AMERICA
L’OROLOGIO IN CUCINA
Era passata qualche settimana ed io cominciavo a sentirmi sicura del mio ambiente. Avevo imparato a riconoscere i nomi delle vie che frequentavo anche se non ne sapevo il significato. Avevo anche imparato a controllare il semaforo prima di attraversare un crocevia.
A volte avevo attraversato con il rosso e avevo dovuto darmi da fare a correre per non essere investita. In paese le poche macchine che passavano si fermavano per farci attraversare senza fretta.
Intanto continuavano le visite di amici e parenti che vivevano da lontano.
Mi pareva di tenere un'infinita' di parenti e le visite erano frequenti
Venivano da New York , da New Jersey,dalla Pensilvania anche dalla lontana Michigan. da Detroit . Venivano a trovare i parenti a conoscerli per la prima volta o a rivederli dopo venti anni di lontanza.
Erano sempre incontri molto emozionanti. Prima ci abbracciavano calorosamente, poi si staccavano un po'ci guardavano da capo a piedi e ci complimentavano del bell'aspetto. Poi ci riabbracciavano e baciavano su una guancia. Doveva essere una usanza americana, da noi questi complimenti erano rari.
L’eta' dei parenti era varia, alcuni giovanissimi come me, altri piu' vicini all’eta’ di mio padre. Telefonavano prima di partire per avvertirci della visita. Che bello,pensavo, il telefono e’ cosi comodo si poteva progettare in anticipo, prepararsi sapere precisamente quel che accadeva in un momento anche a tanta distanza.. Non esisteva l’incertezza del “poi vedremo quando arrivo”. Non era necessario aspettare la posta. Anche quando le notizie arrivavano con qualche persona dello stesso paese dei parenti non era mai cosi veloce come il telefono. Cominciai a comprendere l’enormemente diverso tenore di vita, tra un paesello sperduto nei monti e una citta’ in America. Si, certo si facevano le stesse cose: si mangiava, si dormiva si vegliava ma in America succedeva tutto in ordine, programmato, organizzato. Poco era lasciato al caso. Gli orari si rispettavano, se un appuntamento era per un ora era quella l’ora dell’incontro non dieci minuti prima o dieci minuti dopo. Per quanto mi piaceva il nuovo modo di vita a volte tanta rigida inflessibilita’ mi innervosiva. Mi sentivo prigioniera del tempo. Notai anche una strana usanza nelle case. Ogni casa era fornita di un grande orologio attaccato al muro della cucina. Erano carini fatti a mo’di gattini o altre figurine di cartoni animati. I colori erano a riporto del colore dei muri. A quei tempi il colore di moda per la cucina era giallo. Anche le tendine alle finestre erano di quel colore. La cosa strana era che gli orologi segnavano gli orari in avanti di circa 10/15 minuti. Non era una svista o noncuranza : erano messi apposta in avanti dai padroni di casa. Quando chiesi spiegazioni mi dissero che siccome c’era sempre poco tempo, mettere l’orario in avanti dava l’impressione di ritardo e quindi la persona si sbrigava di piu’ per assicurarsi di arrivare in tempo al lavoro o altri posti dove era atteso. Non ci capii tanto siccome sapevano che l’orario era sbagliato. Ma funzionava bene. Ripensai all’orologio del campanile. Suonava le ore ogni 15 minuti e li sentivano nei campi lontani tra monti e valli. Poi quando l’orologio non suonava perche’ guasto o segnava le ore che non erano, nessuno si preoccupava. Bastava guardare la posizione del sole per determinare ,piu’o meno l’orario. Ai 15/20 minuti di qua o di la’ dell’ora non ci si faceva caso. Solo pochi avevano la sveglia. ma anche questa non segnava mai l’ora precisa. Ne parlavamo tra noi, i nuovi arrivati, di questa stranezza dell’orologio nella case americane e ci ridevamo perche’ci semprava una stupidaggine.Ma non vedevamo niente di strano che il nostro orologio del campanile spesso non segnava le ore per la negligenza di qualcuno che si era dimenticato di dargli la corda. La diversita’ dei due mondi cominciava a farsi sentire sempre piu.’
Delia Socci Skidmore