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L’ULTIMA SOSTA.
Il nostro esodo durò circa 6 mesi di spostamenti su colline e montagne, valli
e boschi perseguitati dalla guerra ,fame, freddo, paura e ogni angustia
possibile e immaginabile e un giorno arrivammo a Veroli. Arrivammo stanchi ,
laceri e affamati. Veroli aveva avuto la fortuna di trovarsi un pò spostata dal
conflitto e benché la guerra fosse passata anche da li la cittadina non aveva
sofferto tragicamente come Settefrati.
Il nostro gruppo di 10 persone composto interamente di parenti fu ospitato dalla
brava famiglia B.. Avevano un mulino a vento e al di sopra di esso due ampie
camere. Le misero a nostra disposizione. Pensate cosa provammo a vedere una
stanza con mura, pavimenti e soffitto. Dopo sei mesi di vagabondare nel freddo,
neve , ghiaccio, ridotti a vivere in capanne,stalle e grotte. Era come se quelle
due camere, anche ammuffite, fossero il più bel palazzo mai esistito.
Le donne si guardarono attorno incredule c’era anche un campicello seminato a
patate . Certamente pensarono che eravamo morti e la Divina Provvidenza ci
aveva accolte in Paradiso. Era primavera il sole si sentiva tiepido. finalmente
un pò di sole e di sereno. Entrammo nelle stanze girando con gli occhi intorno
come per ammirare un grande capolavoro:.si, c’era tutto anche la porta e due
finestrine. Le donne si liberarono del fardello, fagotti e ceste, posandole
delicatamente a terra come se non volessero far male al pavimento. La piccola
Livia l’aveva portata mia madre in un cesto che portava adagiato sul capo. Livia
aveva trovato un pò di latte da altre mamme incontrate per strada anche esse in
cerca di un posto dove rifugiarsi. Le mamme prepararono lunghi lettini per
tutti.I più piccoli dormivano con le mamme e le nonne. i più grandicelli, due
maschietti, in un altra lettino. Erano solo i due fratelli i maschietti il resto
eravamo tutte donne. La prima notte dormimmo sodo, anche se si sentivano aerei
passare su di noi tutta la notte e il cannone rombava lontano. Il giorno dopo
io e gli altri piccoli andammo a fare una corsa per i campi felici e
spensierati come non avevamo fatto per tanto tempo. La signora B. aveva due
figlioletti una la mia età e un altro più piccolo. La signora mi
prese per la mano e mi portò dentro casa sua , prese un vestitino della figliola
e me lo mise e poi anche un paio di scarpe.
Io guardavo con occhi sbarrati il vestitino nuovo, le scarpe e la signora e non
credevo ai miei occhi. Dopo mesi vestita di stracci e con un paio di stivali
più grandi di me legate ai piedi con uno spago , quelle
che mamma trovò per me dopo che persi le mie
correndo nel bosco e nella neve per sottrarci alle cannonate. Quasi non mi
contenevo dalla contentezza. Era come se fossi tornata indietro di sei mesi ,
quando, ancora a casa avevo bei vestitini e scarpette. Ma più importante c’era
da mangiare minestra calda .Le donne andavano in cerca di cicoria, la cuocevano
e la scodellavano su un piatto di pane
duro tagliato a pezzetti. Era squisita .
Dalla gente del paese apprendemmo che molti settefratesi erano stati caricati su
camion e portati via in campi di rifugiati di guerra. Li portarono a Roma ,
Viterbo, Firenze, Piemonte, Lombardia e anche la Sicilia. Da per tutto vagavano
i miseri settefratesi.
DELIA SOCCI SKIDMORE