ASPETTI DELL'EMIGRAZIONE IN AMERICA
Dalla fine dell'800 in poi, milioni di italiani per la maggior parte contadini, provenienti non solo dal meridione, ma anche da regioni del nord, presero la nave per andare negli Stati Uniti d'America, oppure in altri paesi in via di sviluppo e bisognosi di manodopera, come l' America latina ( Argentina, Venezuela, Brasile ecc..), il Canada e l' Australia. Il primo periodo di forte emigrazione si manifestò tra la fine dell'800 e l'inizio del 900 (1880-1930). Nel primo decennio del nuovo secolo, l'Italia perse più di due milioni di abitanti. Lo scoppio della prima guerra mondiale, interruppe il movimento migratorio durante il conflitto, ma il flusso verso le terre straniere riprese subito dopo la fine.
Dal 1931 ci fu un secondo arresto, dovuto prima di tutto agli Stati Uniti d'America, che limitarono il numero di emigranti ammessi e poi anche dal nostro governo che frenò l'emigrazione all'estero in quel periodo. Durante il secondo conflitto mondiale, l'arresto del flusso migratorio fu ancora più cospicuo, questo era dovuto al fatto che i cittadini italiani residenti in alcuni paesi stranieri, venivano considerati "nemici", poichè l'Italia era considerata un nemico politico da combattere. La seconda ondata di emigrazione, ci fu subito dopo il II conflitto mondiale, tra il 1946 e il 1971, l'emigrazione in questo periodo riprese considerevolmente, continuando a registrare la perdita di intere generazioni di lavoratori. Tra la fine dell'800 e l'inizio del 900, milioni di emigranti, partirono principalmente dai porti di Genova, Napoli e Palermo e con minore frequenza anche da altri porti italiani. Si partiva preferibilmente nei mesi meno freddi (da Marzo ad Ottobre) e soprattutto nei mesi estivi, ma molti italiani, affrontarono il viaggio anche nei mesi più freddi come Dicembre, Gennaio e Febbraio. Arrivavano al porto in treno, che molti vedevano per la prima volta come anche la nave e perfino il mare.
C'era chi partiva solo, chi portava con se un famigliare (o tutta la famiglia) e chi salpava con altri paesani, comunque, durante il viaggio, gli italiani si raggruppavano, i casolani per esempio, viaggiavano vicino agli abitanti dei paesi limitrofi (se ce n'erano), oppure, con altri abruzzesi incontrati alla stazione o al porto di Napoli o sulla stessa nave. Era di fondamentale importanza restare uniti e non perdersi mai di vista, neppure dopo essere scesi a terra. Solo muovendosi in gruppo, abitando in gruppo nello stesso quartiere o nello stesso locale in disfacimento, andare a lavorare in gruppo, magari nello stesso cantiere, si poteva superare quel senso di solitudine e di smarrimento che gravava su ognuno di loro in quel paese così lontano e così diverso, di cui non conoscevano neppure la lingua.
Un documento dell'ufficio emigrazioni, parte integrante del registro degli emigranti, nel rilasciare informazioni circa il paese di provenienza del passeggero, fa una precisa e netta distinzione tra l'italiano del nord e
'italiano del sud, tant'è che nello stesso registro, in una delle 29 colonne da riempire con le informazioni del passeggero, oltre alla nazionalità italiana, alla città ed alla provincia, se ne specificava anche l'appartenenza al nord o al sud. La discriminazione dunque, si imbarcava con loro e non li abbandonava neppure a terra, dove i datori di lavoro, preferivano un italiano del nord piuttosto che un meridionale. La localizzazione del porto di partenza dall'Italia, era un primo filtro della distribuzione della popolazione italiana di diversa provenienza su ogni nave, poichè, dalle regioni del nord partivano prevalentemente dal porto di Genova (anche se molti s'imbracavano anche dal porto di Napoli), quelli del centro e del sud invece, partivano principalmente da Napoli ed anche da Palermo.
I controlli sugli emigranti iniziavano dalle città di partenza, erano necessari alcuni giorni per poter effettuare tutte le visite mediche ai passeggeri prima di salpare dal porto. Così, l'abruzzese Pascal D'Angelo , nel libro "Son of Italy" descrive il suo viaggio iniziato nel mese di Aprile del 1910: <<Un incaricato della compagnia marittima aveva organizzato tutto per noi. Ci prelevò conducendoci in una pensione dove avremmo atteso il giorno della partenza del piroscafo. Lì ci sottoposero immediatamente a una visita medica. Valutarono con molta perizia che avessimo denti e occhi sani, mostrandosi invece del tutto indifferenti verso la quantità di denaro che portavamo con noi. I controlli si ripeterono per tre giorni consecutivi, per tutto il tempo che dovemmo trascorrere a Napoli in attesa che il quarto giorno arrivasse e che il "Cedric" salpasse dal porto. Quel momento era ora vicino. Circondati dai bagagli facevamo la fila per salire a bordo. Con l'animo invaso dallo sgomento e da un senso di cattivo presagio misi piede sul gigantesco bastimento di acciaio. Sconcertato mi chiedevo come avrebbe fatto a stare a galla per molti giorni quel coso enorme. Saliti a bordo, data l'ora ormai tarda, mangiammo solo qualcosa in fretta e poi ci ritirammo nei nostri alloggi per la notte. Dormimmo su cuccette di ferro, giù nel ventre della nave. Accanto a me un uomo esclamò, "A quest'ora abbiamo già oltrepassato la Sardegna."
"Dio del cielo! Come può essere?!" commentò un altro. "Dio del cielo!" pensai io, "Come può essere che abbiamo già oltrepassato la Sardegna, qualunque cosa essa sia. Ricordo come in sogno lo scintillio delle acque attorno allo Stretto di Gibilterra e i venditori di arance che si accostavano alla nave con le loro piccole imbarcazioni. >>. L'attraversamento dell'oceano, partendo dall'Italia, durava dai 12 ai 13 giorni, quasi tutti viaggiavano in terza classe, dove si dormiva in cuccette di ferro e si mangiava zuppa (in prima classe invece, venivano serviti piatti preparati dagli chef). Quando il mare era calmo i pesci diventavano i veri protagonisti di quel lungo viaggio, attori indefessi al cospetto di un pubblico speciale, la cui platea era semplicemente un ponte di terza classe.
Nei giorni di
pioggia invece, lo spettacolo più affascinante, era la comparsa dell'arcobaleno
che si specchiava nell'oceano. Quando infuriava la tempesta e la nave era in
balia delle acque, i passeggeri, in preda al panico, restavano sottocoperta,
stipati lì fino alla fine della bufera. La conversazione era un'altro modo per
ingannare il tempo, l'approfondimento delle conoscenze, consolidava
quell'amicizia in seguito necessaria ed utile per affrontare insieme e tutti
uniti, un mondo così diverso da quella cultura che avevano appena lasciato alle
spalle. Sul ponte di terza classe, s'improvvisavano perfino gare, come la gara
dei mangiatori di spaghetti afferrati con le mani legate, oppure ci si divertiva
con il "gioco del barile" ed altri passatempi simili.
Una scena di vita a bordo, ce la racconta ancora una volta Pascal D'Angelo, nel suo libro autobiografico sopra citato: << La traversata fu un incubo di tanto in tanto rischiarato da momenti di raro splendore. Oltrepassammo le Azzorre, giocattoli galleggianti su cui apparivano altri giocattolini a forma di case e di mulini a vento. Non appena svanirono sotto il sipario dell'orizzonte, un tremendo temporale si abbattè su di noi. Come topi in trappola ci toccava stare sottocoperta, le nostre vite affidate a mani sconosciute. Devo confessare che ero terrorizzato, e al pari di me, molti altri compagni che pure viaggiavano in terza classe. Sentivamo tutto il peso della nostra impotenza.
Il piroscafo sbandava incessantemente. Per cena ci servivano piatti di zuppa per nulla allettante, che veniva sbattuta davanti a noi in malo modo, dopo aver compiuto chissà quali peregrinazioni. Ma la fame non era certo il primo dei nostri pensieri durante quel terribile temporale. Per quel poco che ci era dato di notare dai violenti spruzzi d'acqua contro gli oblò, fuori si stava scatenando la furia degli elementi. Un uomo, preso da ansia incontenibile, forse nell'eccitazione di cercare una possibile via d'uscita, disserrò l'oblò e si affacciò fuori. All'istante un violento getto d'acqua luccicante si riversò all'interno. Due marinai si precipitarono verso di lui imprecando furiosamente. L'uomo li vide e si mise a protestare. I due sbraitavano. L'uomo cacciò fuori un coltello. Altri si fecero attorno per dividerli.
E fuori il fragore delle onde faceva da sottofondo a quell'incredibile baraonda. E lì ci baloccammo con uno dei nostri passatempi preferiti: guardare i pesci. Alcuni di noi gridavano, "Guarda i pesci!" "Dove? Dove?" E tutti ci precipitavamo verso quel punto. Con la bocca spalancata a penzoloni verso il basso, restavamo ad osservare le giocose acrobazie degli sfavillanti delfini che scortavano il piroscafo. Talvolta ci seguivano per miglia e miglia e così per molte ore restavamo a guardare le bellissime creature in quel mare che per un po' smetteva di farci paura. Il giorno in cui finalmente giungemmo in prossimità della baia di New York c'era foschia, era troppo tardi per entrare in porto.
Già da alcune ore si erano cominciate a vedere qua e là le macchioline bianche di piccole imbarcazioni a vela, poi finalmente, rischiarata dal crepuscolo, una striscia di terra aveva fatto capolino, lentamente inghiottita da una cortina di nebbia scura.
Tuttavia era terra...era l'America! L'angoscia che ci aveva assillati lungo tutta la traversata di quell'immenso oceano si dissolse in fretta sollevandoci il cuore. Ora gironzolavamo festosi sul ponte. Alcuni di noi che c'erano già stati cercavano di indicarci Coney Island, ma non ci riuscivano. I nostri alloggi si riempirono di chiacchiere e confusione. Parlavamo tutti insieme. Poi lentamente sulle nostre voci si stese un velo di silenzio. Un dubbio orrendo si era fatto tra i molti pensieri: chi di noi poteva sapere con certezza se sarebbe stato ammesso in America, o piuttosto rispedito indietro come presenza indesiderata? Sbarcati a Ellis Island, fummo sottoposti a ispezioni e visite mediche. Non ricordo di aver subito alcuno dei soprusi o maltrattamenti di cui vanno lamentandosi molti immigrati dalla pelle delicata. E comunque, il 20 Aprile del 1910 io e mio padre, assieme ad un gruppetto di compaesani, ottenemmo il permesso do sbarcare in America!>>