LA FAMIGLIA EMIGRANTE
Maddalena Tirabassi
Un importante elemento di mutamento dovuto all'emigrazione in un paese industriale avanzato è costituito dall'arrivo in una società in cui andava affermandosi il consumismo con tutto ciò che esso implicava: produzione in serie, industria della moda, grandi magazzini, riproduzioni. Lo spostamento dalla campagna alla città volle dire per tutte le classi, uno spostamento dalla casa, come centro di vita sociale, alle strade della città coi loro grandi magazzini, cinema, luoghi di ritrovo pubblici. Il tempo libero è organizzato, spesso si paga come il cinema, o le sale da ballo. I riformatori dell'epoca tentano di sopperire alle carenze delle città: è dei primi anni del secolo la costituzione di parchi e di playground per offrire un'alternativa al cinema, al saloon, alla sala da ballo e alla strada. Ma per gli immigrati il passaggio dalla campagna alla città significava anche spostarsi da un'ottica di risparmio ad una di spreco, di consumo. Il fascino esercitato dalla società dei consumi specialmente sulle giovani generazioni e sulle donne in particolare creò contrasti generazionali all'interno della famiglia. In molti casi le ragazze erano disposte a tutto pur di poter acquistare capi di abbigliamento nei grandi magazzini. L'abbigliamento divenne il segno più visibile dell'americanizzazione. Ma forse l'elemento che più tocca la famiglia immigrata è la concezione di famiglia moderna che trovano adottata negli Stati Uniti, una concezione della famiglia, divisa per fasce di età e per sesso, i cui singoli membri sono mossi da ottiche individualistiche e non più familistiche, al cui interno i bambini sono considerati degli individui con esigenze particolari dovute alla loro età e non più adulti in miniatura. Da una società patriarcale si passa ad una società child centered. La scuola e l'educazione impartita attraverso di essa anche ai figli degli immigrati si muove in questa ottica: sviluppare il senso di indipendenza e di autonomia nei bambini, liberandoli dai vincoli della famiglia etnica. In America dal 1904 la scuola era obbligatoria per i bambini fino a dodici anni, anche se i figli degli immigrati italiani erano il gruppo con la minor frequenza scolastica, di solito si limitavano a mandare i bambini i primi anni perché familiarizzassero con l'inglese. La scuola è spesso il
primo luogo in cui i figli degli immigrati si rendono conto di essere
diversi e cominciano a vergognarsi di essere italiani. In un'inchiesta
dell'epoca, la scuola venne denunciata come principale responsabile dei
problemi dei bambini stranieri a causa dell'impreparazione degli
insegnanti, che non si preoccupavano nemmeno di pronunciare
correttamente i nomi dei loro allievi di origine straniera, dei
contrasti coi bambini di altri gruppi etnici, che li chiamavano con
epiteti. I figli degli immigrati, grazie alla scuola sono spesso gli
unici a parlare inglese in famiglia, si vedono i mutamenti profondi
apportati alla cultura d'origine degli immigrati e lo sviluppo delle
divisioni generazionali all'interno della famiglia immigrata. In
America, è stato notato sono i figli a insegnare ai genitori, il mondo
si è rovesciato.
La seconda generazione e le donne Le prime generazioni di donne spesso rifiutano tutto ciò che è 'americano', in primo luogo la lingua inglese. Se costrette a lavorare lo fanno a casa accettando lavoro a domicilio mediato da connazionali o prendendo pensionati del proprio paese d'origine. Poi viene la città che esse temono e cercano di evitare il più possibile chiudendosi nel quartiere italiano e frequentando i negozi gestiti da connazionali. Anche nell'abbigliamento esse tendono a mantenere le tradizioni del paese d'origine, i vestiti neri, gli scialli. La drammaticità delle posizioni delle madri è data dall'incapacità di mediare tra la società esterna, che non conoscono, e i loro figli. I conflitti generazionali vengono acuiti dall'esperienza migratoria, perché i figli hanno un modello esterno molto forte e nessuno strumento familiare per farvi fronte. Le madri si sentono spesso oggetto di vergogna da parte dei figli, che sono attratti da tutto ciò che è americano, invece che di rispetto come nel paese d'origine. In un rapporto dell'epoca si legge: Ciò che è più straordinario è che le ragazze amano l'America. Le madri venute tardi qui, rimpiangono l'Italia, ma le giovani amano l'America. Già vengono qui con la conoscenza dell'importanza che ha la donna nella società americana. Le meridionali del popolo sentono per la prima volta qui che la donna è un animale altrettanto di valore quanto l'uomo e per quanto l'uomo meridionale si senta sempre padrone di casa, è tale l'istintivo terrore del poliziotto che appena gli dice: Si Sicuti ti dugno trublu, egli è pronto a cedere scettro e corona. Ma non è la ragione che qui gli uomini diventano un po’ meno intollerabili che fa amare così l'America alle donne. Le donne qui, malgrado la terribile schiavitù dell'opificio, hanno l'illusione di essere libere, e davvero acquistano l'indipendenza economica. Qui portano il cappello e nella media vestono come al loro paese non vestiva la figlia del sindaco... Quando lavorano han sempre i soldi per i candies e l'ice cream e per il nastro e per i fake jewellry. A loro non importa se per un anno intero non vedono il sole un prato verde e un cespuglio fiorito. La miseria non ha dato il tempo di sviluppare quel pochino di poesia che tutti abbiamo nel nascere. Qui sono young ladies, signorine. Nelle misere campagne della Sicilia, della Calabria, della Basilicata si sa cos'è una contadina povera. I rapporti più difficili si sviluppano tra madri e figlie a causa della nuova posizione in cui quest'ultime si trovano in America. La loro uscita da casa è favorita sia dalla scuola che dal lavoro. Lavorano nelle fabbriche di abbigliamento, di scatole, caramelle, fiori. Anche se il lavoro non è di per sé emancipatorio perché non vi corrisponde un'aumentata libertà di movimento la richiesta di una parte del salario per usufruire dei beni di consumo, dagli abiti agli svaghi, le porta fuori dall'ottica familistica e a mettere in discussione la finora incontrastata autorità paterna. Il lavoro di per se non costituisce una conquista per le giovani immigrate italiane. L'atteggiamento del gruppo etnico nei confronti delle donne era che esso «fosse un male necessario indotto dalle condizioni di vita americane che non alterò in nessun modo la loro posizione di dipendenza» dall'autorità familiare. Infatti non era consentito alle giovani donne di disporre nemmeno in piccola parte del denaro guadagnato nè di usufruire di alcune elementari libertà, se non di lavorare. Ciò era causa di molteplici discussioni nelle famiglie. Il caso di una ragazza napoletana fuggita di casa, a causa dei maltrattamenti subiti, che si rivolse ad una segretaria degli International Institutes è abbastanza significativo in questo senso. Era la sola a guadagnare in famiglia, ciononostante non aveva il permesso di uscire da sola e, avendo disubbidito, era stata picchiata dal padre. La madre dichiarò all'assistente sociale che non poteva difendere la figlia poiché temeva il marito «che aveva idee antiquate per quello che riguardava la sua autorità in casa». Un altra giovane donna si lamentò con un'assistente per la scarsa libertà di cui disponeva: «Mamma è dolce e tenera con mia sorella e con me...Riceviamo molto affetto, ma ogni nostro passo è controllato... Ho lavorato tre anni in una fabbrica tessile. Guadagno bene e se avessi gli stessi diritti delle ragazze americane so che potrei dare a mia madre i soldi per il mio mantenimento ed avere abbastanza denaro per vestirmi bene e per divertirmi. Ma devo consegnare tutto il mio salario a mio padre ogni giorno di paga. Lui dice che è per me, per la mia dote. Non vedo a cosa mi serva una dote. I ragazzi che conosco non si spettano di sposare nessuno per denaro». Il principale terreno in cui si verificava lo scontro culturale tra vecchio e nuovo mondo era costituito dai rapporti delle figlie coi coetanei maschi e più in generale sulle scelte matrimoniali. Negli Stati Uniti si era ormai affermata per tutte le classi la concezione del matrimonio egalitario moderno, che implicava la libera scelta del coniuge e quindi il matrimonio per amore. Tra gli immigrati vigevano ancora i vecchi codici, che imponevano alle donne una scelta fatta dai genitori all'interno degli stretti recinti del gruppo etnico, spesso di quelli del campanile. Le ragazze come emerge da molte testimonianze, rivendicavano il diritto di scegliere sì un connazionale, ma più americanizzato, di poterlo vedere al di fuori dell'ambito familiare, di poter frequentare ragazzi senza essere costrette a sposarli, non vogliono la dote, vogliono uscire coi ragazzi senza fidanzarsi. Nel primo caso citato la ragazza si lamentava di non poter portare in casa il ragazzo con cui usciva «perché temeva che il padre chiedesse al ragazzo che intenzioni aveva mentre lei voleva solo divertirsi come tutti i giovani in America e non sposarlo». Un'altra ragazza dichiarò all'assistente: «Non voglio sposare un italiano, sono troppo bossy, voglio sposare un americanizzato». Gli americani nativi non nascondevano il loro disgusto per questa nuova ondata di arrivi, e anche gli altri gruppi con cui essi venivano a contatto negli affollati quartieri abitati dagli immigrati, irlandesi, tedeschi e scandinavi, tolleravano malvolentieri le abitudini rurali dei contadini italiani. «Oh gli irlandesi e i siciliani non vanno d'accordo! Stavano sempre a litigare - ricorda in una famosa autobiografia un'emigrante lombarda - la siciliana al piano di sotto mette la salsa di pomodoro a cuocere al sole - tutto il cortile coperto di quelle tavole per la salsa di pomodoro; e l'irlandese al piano di sopra stende i panni con una carta in mezzo perché il filo non sporchi la camicetta bianca, pulita. Quando toglie le mollette la carta, a volte le federe di cuscino finiscono nella salsa. Allora si infuriano entrambe e cominciano a litigare».
|