La Gioia Di Crescere
Italo-Americano
Ero diventato adulto oramai
da tempo quando realizzai di essere un americano. Certo, ero nato in America
e lì avevo vissuto per tutta la mia vita ma per qualche ragione non mi era
mai capitato di pensare che il semplice fatto d'essere cittadino degli Stati
Uniti significava che fossi un americano. Gli americani erano gente che
mangiava burro di arachidi e gelatina su pane bianco e molliccio uscito dai
sacchetti di plastica. IO? Io ero un Italiano
Per me, e così per la maggior
parte dei ragazzi Italo-Americani di seconda generazione cresciuti negli
anni quaranta e cinquanta, c'era una netta linea di demarcazione tra NOI e
LORO. Noi eravamo Italiani. Tutti gli altri- gli Irlandesi, i Tedeschi, i
Polacchi, gli Ebrei- erano "merican". Non che ci fossero cattivi sentimenti
tra noi, solo che - beh - noi eravamo certi che il nostro fosse il modo
migliore. Ad esempio, noi avevamo un venditore per il pane, uno per il
carbone, un uomo del ghiaccio, uno per la frutta e la verdura, uno per le
angurie e uno per il pesce; avevamo perfino un uomo che affilava coltelli e
forbici che veniva fino a casa, o almeno giusto lì davanti. Erano i tanti
ambulanti che vendevano nel quartiere italiano. Restavamo ad aspettare la
loro chiamata, le loro urla, il suono caratteristico di ognuno di loro. Noi
li conoscevamo tutti, e loro conoscevano noi. Gli americani andavano nei
negozi per comparsi quasi tutto il cibo. Che spreco!
Con tutta sincerità li
compativo per quello che si perdevano. Loro non conobbero mai il piacere di
svegliarsi ogni mattina e trovare una pagnotta calda e croccante di pane
italiano che aspettava dietro la porta a vetri. Ed invece di riuscire a
saltare sul retro del furgoncino di un ambulante un paio di volte a
settimana solo per rimediare un passaggio, la maggior parte dei miei amici "merican"
si doveva accontentare di andare all'A&P. Quando si trattava di cibo, mi ha
sempre stupito che i miei amici americani o i compagni di classe mangiassero
solo tacchino per il Ringraziamento o a Natale. O meglio, che mangiassero
solo tacchino, il ripieno, purè di patate e salsa di mirtilli. Ora, noi
Italiani - anche noi mangiavamo tacchino, il ripieno, purè e salsa di
mirtilli, ma - solo dopo aver finito l'antipasto, la zuppa, le lasagne, le
polpette, l'insalata e qualsiasi altra cosa la Nonna avesse ritenuto
appropriata per quella festività in particolare. Il tacchino veniva di
solito accompagnato da un arrosto di un qualche tipo (giusto nel caso in cui
fosse capitato qualcuno a cui non piacesse il tacchino), ed era seguito da
una varietà di frutta, frutta secca, pasticcini, torte, ed - ovviamente-
biscotti fatti in casa. Nessuna festa era completa senza qualcosa di
preparato in casa e al forno, niente cose comprate nei negozi per noi. E'
qui che s'imparava a reggere un pasto di sette portate tra mezzogiorno e le
quattro del pomeriggio, come maneggiare le castagne bollenti e ad affogare
la pesca a fette nel vino rosso. Credo davvero che gli italiani vivano con
il cibo una specie di relazione amorosa.
Parlando di cibo- la Domenica
era davvero il gran giorno della settimana. Era il giorno in cui ci si
svegliava con il profumo d'aglio e di cipolle che friggevano nell'olio
d'oliva. Fin da sotto le coperte si poteva sentire lo sfrigolare dei
pomodori che venivano buttati in padella. Di domenica c'era sempre il sugo
(i "merican" lo chiamavano "salsa"), e i maccheroni (loro li chiamavano
"pasta"). La Domenica non sarebbe stata una vera Domenica senza la Messa.
Naturalmente non si poteva mangiare prima della Messa, perché si doveva
digiunare per la Comunione. Ma la parte bella era che sapevamo che una volta
arrivati a casa, avremmo trovato le polpette a friggere, e non c'è niente di
più buono di polpette appena fritte e pane croccante immerso nel barattolo
del sugo.
C'era un'altra differenza tra
NOI e LORO. Noi avevamo dei giardini, non giardini fioriti, ma enormi
giardini dove crescevano pomodori, pomodori, ed ancora pomodori. Li
mangiavamo, li cucinavamo, li conservavamo nei barattoli. Certo, coltivavamo
anche peperoncino, basilico, insalata e zucca. Ciascuno di noi aveva una
vite ed un albero di fico, ed in autunno tutti si facevano il vino in casa,
in gran quantità. Naturalmente, i giardini crescevano così rigogliosi anche
perché noi avevamo qualcos'altro che i nostri amici americani sembravano non
avere. Noi avevamo il Nonno. Non che loro non ne avessero uno, è solo che
loro non ci vivevano assieme, o nelle vicinanze. Loro andavano a far visita
ai loro nonni. Noi mangiavamo con i nostri, e che Dio ci avesse scampato se
non li avessimo visti una volta a settimana almeno. Riesco ancora a
ricordare quando mio Nonno mi raccontava di come, da ragazzo, venne in
America "sulla barca". Di come la famiglia aveva vissuto in una casa
affittata a Thompson St, nel quartiere di "Little Italy" a New York, e di
come si sforzava di sbarcare il lunario; di come decise di non volere che i
suoi figli, quattro maschi e cinque femmine, crescessero in quell'ambiente.
Tutto ciò, ovviamente, nella sua personale versione di Inglese-Napoletano
che ben presto imparai a capire discretamente.
Così quando ebbe risparmiato
abbastanza, e non sono mai riuscito a capire come, comprò due case nel New
Jersey. La casa di Hoboken e quella di Long Brach alla spiaggia a New Jersey
che sarebbe servita come quartiere generale della famiglia per i successivi
quarant'anni. Mi ricordo che detestava lasciarla, preferiva sedersi alla
finestra a veder crescere il suo giardino, e quando doveva proprio andare
per qualche occasione speciale, doveva tornare a casa il prima possibile.
Dopo tutto "Non c'è nessuno a guardare la casa". Mi ricordo anche le
festività in cui tutti i parenti si radunavano a casa del Nonno e c'erano
tavole imbandite e vino fatto in casa e musica. Le donne stavano in cucina,
gli uomini in salotto, e bambini, bambini ovunque. Ho molti cugini, di primo
e secondo grado. E mio Nonno, con i suoi baffi sottili e ben curati, se ne
stava nel bel mezzo di tutto questo, sorvegliando il suo regno, orgoglioso
di quanto bene i suoi figli avessero fatto.
Aveva raggiunto il suo
obiettivo venendo in America e nel New Jersey e sapeva che i suoi figli, e i
figli dei suoi figli, stavano raggiungendo tutti gli obbiettivi a loro
disponibili in quel paese per il fatto stesso di essere Italo-americani, con
quella forte etica italiana del lavoro. Quando qualche anno fa mio Nonno
morì a 89 anni, le cose cominciarono a cambiare... Lentamente all'inizio. Le
riunioni di famiglia si fecero più rare e sembrava mancare qualcosa
nonostante tutto, e quando ci trovavamo, avevo sempre la sensazione che lui
fosse lì con noi in qualche modo. Era comprensibile, d'altronde ognuno ora
aveva la propria famiglia e i propri nipoti.