I  150  ANNI DELL'UNITA' ITALIANA

 

Alcuni non si sentono più italiani

Giovanni De sio Cesari

Cinquanta anni fa, nel 1961 quando fu celebrato il centenario dell’Unità italiana,  nessuno avrebbe mai pensato che il 150° anniversario sarebbe stato contestato e combattuto. Gli italiani al di  la dell’oceano e sparsi in tutto il mondo si sentono ancor tutti italiani ma questo non avviene in patria dove un parte, certo minoritaria ma comunque consistente, dei cittadini italiani stenta a riconoscersi come italiani.

Possiamo anche demonizzarli quanto vogliamo ma è un fatto che non possiamo negare,  qualunque siano i nostri sentimenti e  le nostre idee.  L’anniversario dei 150 anni  è stato  molto più sentito di quello del centenario e  la maggioranza ha sentito il bisogno di manifestare fortemente la sua italaiatà visto che altri invece la negavano

Come mai è stato possibile un cosa del genere? Come mai è potuto accadere un tale fatto  che nel centenario nessuno avrebbe  mai pensato possibile?

Le celebrazioni del centenario del 1961 furono in realtà  un fatto formale non particolarmente sentito perchè  la italianità era un fatto ovvio, scontato. In cento anni la scuola elementare aveva fissato nella mente di tre generazioni di italiani che il Risorgimento fosse stata cosa buona e santa, che non poteva essere messa in discussione in nessun modo. una certezza insomma a cui comunque aggrapparsi nelle agitazioni rivolgimenti della vita politica. I Fratelli Bandiera, Mazzini ,Garibaldi  erano i santini  di una religiosa laica e nazionale che non potevano essere messi in dubbio senza essere considerati dei profanatori, dei cinici. In verità la critica di ispirazione marxista aveva rivisitato il Risorgimento ampiamente sostituendo alla agiografia dei martiri, degli apostoli e degli eroi la  affermzione  della borghesia, di una società  capitalistica che i  lavoratori e il proletariato erano poi chiamati a rovesciare. Malgrado ciò, però. non si metteva in  dubbio in nessun modo la positività dell’evento e la unita era  vista come  un presupposto della rivoluzione comunista che sarebbe poi venuta ineluttabilmente  come da previsione scientifica.  In questa prospettiva la critica marxista rilanciò certi aspetti  come la repressione del brigantaggio meridionale, la appropriazione delle terre  da parte della borghesia : tutti fatti già ben noti agli storici ma comunque sottaciuti a livello ufficiale  e soprattutto scolastico.

 Ma al rivoluzione comunista non è venuta, gli ideali comunisti sono naufragati dovunque nel mondo e si sono quindi dileguati anche in Italia. Si è invece affermato invece  il neo liberismo che, conquistata l’America con Reagan e l’Inghiterra con la Teatcher  si è poi diffuso in tutto il mondo occidentale. Negli ultimi 30 anni anche lo stato assistenziale è cominciato a entrare in crisi nel mondo e in Italia:le spese dl Welfare sono apparse insostenibili,  incompatibile con lo sviluppo economico. Negli ultimi anni si è manifestata la crisi economica, legata al declino del primato occidentale  per l’emergere delle economia del terzo mondo  soprattutto della Cina.In questo contesto allora si sono fatti un pò di conti e si è evidenziato un fatto: il welfare implica che una parte delle risorse viene sottratta ai più ricchi e distribuiti ai più poveri. Ma in Italia abbiamo una notevole disuguaglianza  fra nord e sud: questo significa, in termini contabili  che in pratica il nord ricco finanzia  il sud povero.  Da qui l’idea semplicistica  ma suggestiva che il sud viva parassitariamentea spese del  nord  che si sente derubato e pensa che senza il sud non avrebbe alcun problema  economico. A questo si accompagna tutta una serie  di incomprensioni ,di pregiudizi presenti da sempre  fra le due parti del paese.

 D’altra parte il sud si sente a sua volta tradito e sfruttato: si riscoprono i primati del regno di Napoli, si pensa che  l’Unita sia stata una  colonizzazione del sud  , una spoliazione  sistematica delle sue risorse . Risorgono un pò dovunque simboli, bandiere e canti dei tempi dei Borboni.

 In realtà  le cose sono molte piu complesse e da una parte e dall’altra  si tratta di  semplificazioni che non cogliono la complessità degli avvenimenti

Tuttavia una parte almeno dei cittadini crede ad esse: l’idea allora che l’unità si stata solo un imbroglio prende pero quota e allora una parte  dei cittadini non si sente piu italiana

 

 

 

IL CASO

Il Carroccio diserta le celebrazioni
e solo 6 leghisti in aula alla Camera

 Da La repubblica 17/03/11

In Lombardia e Veneto uffici aperti per il Carroccio, in polemica con la festa per i 150 anni dell'unità d'Italia. Fischi e contestazioni a Milano per l'iniziativa di Salvini e i suoi riuniti a lavorare in piazza della Scala. Ma qualcuno fa festa, come il sindaco di Lesmo, e Zaia indossa la coccarda

ROMA - A Milano, il capogruppo leghista Matteo Salvini piazza le scrivanie fuori dal municipio per dimostrare di essere al lavoro. Uffici aperti per i primi cittadini veneti del Carroccio. E in aula a Montecitorio, solo in sei ad ascoltare Napolitano (quattro dei quali membri del governo), senza applaudirlo mai: come annunciato, e con addosso gli occhi di tutti, la Lega boicotta il 17 marzo, ma le provocazioni non sempre risultano gradite e attirano fischi e contestazioni anche al nord. E qualcuno, a sorpresa, anche in casa della Lega decide di onorare la festività.   

Ma l'episodio simbolo del voltaspalle leghista al 150enario sono le celebrazioni nell'aula di Montecitorio, stracolma dei rappresentanti dei due rami del Parlamento. Il Carroccio era rappresentato da tre ministri - Umberto Bossi, Roberto Maroni e Roberto Calderoli -, un sottosegretario e un solo parlamentare. Tutto qui. Bossi ha tentato di smorzare le polemiche: "Ci sono io", risponde ai cronisti, poi elogia il discorso di Napolitano. Ma anche sui banchi del governo, durante l'esecuzione dell'Inno, il Senatur non canta e cerca di parlare con i vicini con aria visibilmente seccata.

A Milano la provocazione di Salvini non è piaciuta e i leghisti riuniti simbolicamente "a lavorare" in piazza della Scala, in polemica con le celebrazioni per l'unità d'Italia, sono stati costretti a sloggiare: il loro banchetto è stato rimosso dalle forze dell'ordine per motivi di ordine pubblico. L'iniziativa promossa dagli esponenti del Carroccio, non è stata gradita dai milanesi, che non hanno apprezzato neppure l'idea di distribuire ai passanti bandiere con la croce di San Giorgio, simbolo di Milano divenuto una delle icone del Carroccio. Diversi cittadini di passaggio in piazza della Scala hanno bersagliato i leghisti con rumorosi "vergogna", altri hanno rilanciato con slogan come "Viva l'Italia", qualcuno ha anche azzardato: "Fuori la lega dallo stato".

Per i sindaci veneti della Lega oggi è stata una normale giornata di lavoro. A Treviso la cerimonia dell'alzabandiera in Piazza Vittoria è stata presieduta dal prosindaco Gentilini, della Lega, anzichè dal sindaco Gobbo, anche lui del Carroccio. Non era presente il presidente della provincia, Leonardo Muraro, Lega Nord, pure lui al lavoro, sostituito dal suo vice Zambon, del Pdl. Negli uffici municipali, di buon ora erano già all'opera i sindaci leghisti di Vittorio Veneto, Cittadella, Thiene.

All'alzabandiera in piazza Castello a Torino, tra le autorità, accanto al sindaco Sergio Chiamparino, c'erano il prefetto Alberto Di Pace e il presidente della provincia Antonio Saitta, ma non Roberto Cota, presidente della regione Piemonte, nè altri esponenti della Lega. Neppure Tizia Sala, sindaco leghista di Cantù, nel comasco, ha partecipato alla deposizione di una corona di fiori sotto il balcone della casa in cui soggiornò Garibaldi, ma è stata accolta da grida e fischi di disapprovazione. Insulti e gravi minacce sono arrivati anche a Giovanni Malanchini, primo cittadino della Lega Nord di Spirano (Bergamo), per aver tenuto aperto il municipio oggi. 

Non sono mancate, però, voci fuori dal coro e ripensamenti. Il sindaco di Lesmo, Marco Desiderati, dopo aver annunciato nei giorni scorsi che il tricolore oggi sarebbe rimasto chiuso in un cassetto, lo ha esposto invece sul pennone del Comune, onorando la ricorrenza. Comune a festa anche a Varese, come ha confermato lo stesso primo cittadino Attilio Fontana, che si è presentato in tricolore alla cerimonia dell'alzabandiera. Ha fatto notizia anche la scelta di Luca Zaia, governatore del Veneto, che sopra il fazzoletto verde, in un evento all'università di Padova, ha mostrato la coccarda tricolore. "Sembra che tutti i problemi dell'Italia si risolvono col fatto che io mi metta o meno la coccarda tricolore", ha detto con una battuta.

Ma per Rosy Bindi, la Lega oggi ha perso un'occasione: "Gli atteggiamenti sprezzanti della Lega le parole di irrisione verso i simboli nazionali come l'Inno di Mameli e il Tricolore non sporcano le belle immagini di una intensa e sentita partecipazione di donne uomini ragazzi bambini alle tante celebrazioni che si susseguono in queste ore nelle nostre città", dice la vicepresidente della Camera e presidente dell'assemblea nazionale del Pd. Oggi il Carroccio "ha perso un'occasione, forse unica, per unirsi al corpo vivo della nazione e ritrovare credibilità. La maggioranza numerica che governa il paese - conclude Bindi - è sempre meno una maggioranza politica, culturale e morale e lo dimostrano anche le celebrazioni di questo anniversario".

Il comportamento della Lega è offensivo e "accade proprio nel giorno durante il quale si testimonia l'importanza per il presente e per il futuro, di un'Italia che sappia essere veramente unita", denuncia in una nota Leoluca Orlando, portavoce dell'Italia dei Valori, che chiede poi alla magistratura di valutare se dietro le gravi dichiarazioni di alcuni esponenti leghisti, sia "possibile ravvisare il reato di vilipendio alla bandiera italiana". 

 

 

I 150 ANNI

Napolitano: "L'Unità d'Italia va rafforzata"
Berlusconi contestato dai cittadini

da La repubblica ,17/03/11

Giornata densa di impegni per il Capo dello Stato, culminati con il suo discorso a deputati e senatori. Niente polemiche, ma punto per punto i motivi per cui l'integrità nazionale deve essere preservata. Per il premier urla e fischi al Gianicolo, alla basilica e all'Opera

ROMA - I 150 anni dell'Unità d'Italia, gli altrettanti colpi di cannone a salve sparati a mezzogiorno al Gianicolo, i tre colori della bandiera sventolata da tantissimi cittadini che hanno affollato per tutto il giorno le piazze, i quaranta metri quadri di vessillo nazionale che è stato issato ieri sera alla Stazione Termini, i cinque leghisti presenti oggi pomeriggio a Montecitorio per la seduta solenne. E le centinaia di persone che a Roma hanno contestato Berlusconi proprio al Gianicolo e alla Basilica di Santa Maria degli Angeli, e quelli che in altre città hanno protestato per le iniziative leghiste in opposizione alle celebrazioni.  prima del "Nabucco" all'Opera.

Anche queste storie sparse descrivono la lunga giornata del compleanno italiano che si è celebrato oggi. Una giornata, in realtà iniziata mercoledì sera, con la Notte Tricolore avviata dal capo dello Stato Giorgio Napolitano in piazza del Quirinale e l'inno di Mameli, cantato da Gianni Morandi davanti alle telecamere di Raiuno.

Le parole del capo dello Stato (di grande impatto l'ammonimento "se fossimo rimasti come nel 1860, divisi in 8 Stati senza libertà e sotto il dominio straniero, saremmo stati spazzati via dalla storia") hanno aperto le celebrazioni, che vedevano l'apertura al pubblico dei centri della politica, da Montecitorio a Palazzo Madama a Palazzo Chigi.

E' iniziata presto, intorno alle 9, la lunga mattina del capo dello Stato tra i luoghi simbolo del Risorgimento. La prima tappa al Vittoriano, con la rassegna militare, l'omaggio al Milite Ignoto, il passaggio delle Frecce Tricolori. Poi il Pantheon, con lo storico omaggio, il primo di un presidente della Repubblica, alla tomba di Vittorio Emanuele II, e la tappa al museo a cielo aperto del Gianicolo, per ricordare Garibaldi e la Repubblica Romana. Napolitano era sempre accompagnato dalle altre alte cariche dello Stato: i presidenti di Senato e Camera, Renato Schifani e Gianfranco Fini, dal premier Silvio Berlusconi (più volte contestato dalla gente che assisteva) e dal presidente della Corte Costituzionale Ugo De Siervo.

Poi la visita di una mostra multimediale sul Risorgimento a Porta San Pancrazio, prima della celebrazione eucaristica alla Basilica di Santa Maria degli Angeli. Messa officiata dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, che nella sua omelia ha elogiato "i 100.000 campanili della nostra Italia", che "ispirano un sentire comune diffuso che identifica senza escludere, che fa riconoscere, avvicina, sollecita il senso di cordiale appartenenza e di generosa partecipazione alla comunità cristiana, alla vita del borgo e del paese, delle città e delle regioni, dello Stato".

Una mattina nel segno dell'Unità d'Italia, apparentemente accantonando le polemiche politiche, se si esclude la contestazione al Gianicolo ai danni del premier Silvio Berlusconi, che però poco prima, al Vittoriano, era stato incitato da un altro gruppo ad andare avanti nella sua azione di governo. E lo strano percorso seguito dallo stesso Berlusconi per lasciare la Basilica di Santa Maria degli Angeli, l'uscita posteriore mentre tutte le alte personalità uscivano dalla principale, acclamati dalla folla.

Nel pomeriggio la parte più attesa della giornata, la cerimonia solenne a Montecitorio per i 150 anni, con deputati e senatori in seduta comune. Attesa soprattutto alimentata dalle polemiche dei giorni scorsi sulla Lega, che aveva preannunciato che ci sarebbero state assenze. Alla fine gli esponenti del Carroccio saranno cinque, tra cui tre ministri: il leader della Lega Umberto Bossi, Roberto Maroni e Roberto Calderoli. Quest'ultimo, però, ha fatto solo una rapida comparsa in aula e complice l'affollamento, è uscito subito. Applaudito fuori e dentro il Parlamento, invece, Romano Prodi che però minimizza: "Non ho fatto caso..."

S'inizia con l'Inno di Mameli, cantato da tutti (anche se Bossi più volte cerca di interlocuire con Tremonti, per la verità infastidito dal comportamento del "senatur"). Dopo i discorsi di Gianfranco Fini ("vivere il 17 marzo come festa nazionale è un dovere civile per tutti gli italiani dalla vetta d'Italia a Lampedusa") e Renato Schifani (che rivolge un omaggio al capo dello Stato: "il paese - dice - si riconosce nelle parole e nell'esempio del suo primo cittadino") sull'Unità d'Italia, è stata la volta del capo dello Stato, che in circa mezz'ora ha offerto una panoramica di tutti gli aspetti cruciali del processo di unificazione nazionale e dell'attualità istituzionale, evitando quello che ha definito "l'orrore della retorica", ma al tempo stesso ammonendo rispetto ai rischi di "fuorvianti clamorosi semplicismi come quello dell'immaginare un possibile arrestarsi del movimento per l'Unità poco oltre un limite di un Regno dell'Alta Italia".

Poi, passaggi dedicati alla disoccupazione giovanile ("prospettive drammatiche", denuncia), alla Costituzione ancora "valida", a un federalismo giusto che "rafforzi l'unità" del paese, al sud che merita più attenzione. E l'invito a tutte le istituzioni, che mostrino più "umiltà". Infine, un appello: per salvare l'Italia basta irresponsabilità. "La condizione della salvezza comune, del comune progresso" dell'Italia, dice Napolitano, impone a tutti la promozione di "un forte cemento nazionale unitario, non eroso e dissolto da cieche partigianerie, da perdite diffuse del senso del limite e della responsabilità". Forse è questo l'unico riferimento velato alla Lega, un argomento che anche dopo la cerimonia Napolitano ha preferito non affrontare direttamente. "Non ho fatto il conto, chieda a loro", ha risposto il capo dello Stato a un cronista che gli ha chiesto, dopo la seduta, di commentare la presenza di soli 5 leghisti. Saluta l'aula dicendo "viva l'Italia"
Applaudono in tanti, tutti. Anche Bossi, lasciando l'aula parla di "buon discorso", dice che Napolitano "è una garanzia".

Napolitano ha preferito quindi concentrarsi sull'aspetto più appagante della giornata di oggi: la grande partecipazione e il calore dei cittadini. Una partecipazione che accresce nel presidente della Repubblica "l'orgoglio e la fiducia" espressa per i valori del Risorgimento e dell'Unità d'Italia, oltre alla soddisfazione "per questo dispiegamento di iniziative e contributi che continuerà ben oltre la ricorrenza di oggi, e per un rilancio dei nostri simboli", come ha detto in Aula a Montecitorio.


E mentre il capo dello Stato evita tutte le possibili polemiche, è il "senatur" ad affermare, gelidamente, che per le contestazioni subite da Berlusconi "è peggio per lui". Il premier, invece non si lascia avvicinare, scarta i cronisti prima, durante e dopo la cerimonia. Antonio Di Pietro, invece attacca: "Siamo alla fine di un regime. Le contestazioni di oggi indirizzate al presidente del Consiglio ne sono la prova".

(17 marzo 2011)