GIORNO DI TUTTI I MORTI
Il primo Novembre era arrivato con tanto freddo e il vento scendeva dalle montagne sibilava nei vicoli del paese. Gli alberi ormai quasi spogli facevano cadere le ultime foglie e disadorni si curvavano al vento. Sembrava che l’inverno avesse anticipata la sua visita che nessuno desiderava. Oggi era il giorno di Ognissanti, domani sarebbe stata la festa di tutti I morti. Piu`che una festa era una commemorazione di tutti I cari defunti e noi saremmo andati al cimitero a pregare sulla tomba della buonanima. Il giorno di tutti I Santi dopo le funzioni e riti in chiesa era usanza di andare a chiedere ai signori del paese che avevano giardini ancora fioriti , qualche fiore per ornare le tombe. Il pomeriggio ci recavamo al cimitero a pulire e adornare tombe e depositi. Il giorno dopo saremmo venuti di buon ora a fare I nostri rispetti ai morti. Scendeva la sera Il vento correva veloce ad annunciare la notte fredda. La gente del paese si ritirava subito per riscaldarsi accanto al focolare. La mattina presto poco dopo la mezzanotte il campanaro suonava le campane che rintonavano come tuoni nel gelido della quiete notturna. Le campane nei piccoli paesi e borghi hanno uno specifico ruolo nella comunita`. Annunciano feste e funerali. Specifici orari per specifiche celebrazioni come anche l’alba e il crepuscolo . Era d’usanza dunque , non so per quale ragione, di andare al cimitero la mattina prima ancora dell’alba. Questa notte il cielo senza luna era calmo e brillava ancora
qualche stella che presto sarebbe scomparsa. Il grande cancello che chiudeva il cimitero era stato gia` aperto dal custode. Anche quando non faceva tanto freddo entrare nel cimitero ancora buio e solitario faceva venire brividi. L’odore pungente di muschio e di pini inondava i sensi appena si entrava e quasi avrei voluto tornare indietro. Ma questo non era il posto per belle cose ne` per bei odori. Dentro ognuno si recava verso al tomba dei suoi cari a pregare e a piangere e ardere candele e lumini. Dopo fatto il nostro compito vicino le tombe dei nostri cari, molte di noi con le suore facevamo il giro attorno al cimitero per pregare e recitare il Santo Rosario. C’erano tombe molto vecchie consumate dal tempo, altre ancora fresche di recente. I mausolei erano i piu` belli grandi e imponenti di fronte alle umile tombe in terra. I ceri ardevano in abbondanza ed erano pieni di fiori. Il cimitero ora illuminati un po' rallegra i nostri tristi cuori . Piu tardi allo schiarire quando arrivava il parroco avrebbe celebrata la Messa sotto la grande Croce di ferro. Mentre camminavo fra le tombe notai una donna inginocchiata per terra presso una piccola modesta tomba. La donna puliva con cura l’erba e gli aghi di pino. Scansava con le mani le foglie cadute finche` il posticino del sepolto fu completamente e nitidamente pulito. La tomba era piccola quasi scarna priva di ogni segno di frivolita`. Sovrastata da una semplice pietra e una piccola croce di ferro ormai arrugginita da tempo. Sulla pietra anche questa consumata dal tempo non si vedeva piu il nome del sepolto. Mentre la donna puliva accarezzava teneramente la croce e la pietra e mormorava qualcosa che suonava di tanta tristezza. Aveva con se tanti lumini e li aveva allineati l’uno dopo l’altro seguendo la forma rettangolare della piccola umile tomba. Accese tutti i lumini e lo fece con amore deponendoli leggermente sul suolo come se avesse paura di disturbare l’anima del sepolto. I lumini accesi emanavano una fievole luce rossastra che ora illuminava ora ombreggiava il volto triste, sfinito della donna. Era sola, mi fermai un momentino a poca distanza colpita dalla figura tanto sola e tanto triste. La donna si chinava a baciare il suolo e chiamava un nome ripetendo "figlio mio, figlio mio" . Restai un altro momentino poi silenziosa mi allontanai e continuai il mio percorso e recitare i requiem ma non ho mai dimenticata quella figura tanto sola e tanto triste. Poco dopo arrivo`il parroco con i chierichetti, percossero tutti I vialetti del cimitero precando e benedicendo. Il parroco celebro` la messa sotto la grande Croce in mezzo al cimitero . Spuntava l’alba , il cielo sereno si schiariva ai primi raggi del sole. La gente si avviava verso le case. Delia Socci |
Queste due feste segnano, da noi, l’inizio della stagione fredda e, quindi, dell’autunno-inverno, poichè in ottobre resistono ancora le tradizioni e le consuetudini della buona stagione (o della stagione estiva).
Se da un lato, questa
festa, rappresenta l’entrata nella stagione fredda e povera o, se si vuole,
sonnacchiosa e sonnolenta e, perchè no, morta, per la vitalità sipontina;
dall’altro, con il mistero della morte, essa si traduce in un conato
liberatorio, quasi che il culto dei defunti si trasfonda in una sorta di
sacrilega confidenza con i sacrifici, le sofferenze terrene.
Il culto dei morti, pertanto, si traduce in un colloquio più diretto con i
propri cari defunti, quasi a condividere con loro l’agognata pace.
Un senso di pacata serenità sovrasta l’animo sipontino, chè quel colloquio
può essere (e vuol essere) la fuoriuscita dalle tribolazioni quotidiane, ma,
ancora più, la ricerca di conforto e di comprensione.
Rimane, comunque, una desolazione persistente, perchè la morte dei propri cari (marito, figli, padre, madre, fratelli e sorelle) significa anche maggiore desolazione e maggiore povertà in una vita, già di per sè, avara di soddisfazioni, desolata e desolante, stentata e foriera di altri stenti.
Ed è questa una delle
chiavi di lettura delle veglie dei familiari, per l’intera festività,
presso i simulacri dei propri cari, loculi (i nnicchie) o tumuli
(i sülke) che siano, contrassegnati da croci in legno o in ferro battuto, o
con incisioni sulle pietre tombali, più o meno arricchite o adobbate con
fiori variopinti o con iscrizioni dedicatorie, ma pur sempre recanti le
effigi dei defunti.
Ed i viventi percorrono le lunghe teorie dei corridoi e dei sentieri della
città dei morti, alla ricerca delle immagini dei propri defunti, e non solo.
Ed allora si paventa un
lungo scorrere di volti, di nomi, di fotografie; e lo stupore non ha mai
fine, perchè non pochi sono i volti, noti, e non poche sono le scoperte di
persone che si credevano ancora viventi.
La pietà si mischia con la curiosità, specie quando si vuol conoscere un
morto fresco o persona defunta per morte cruenta.
E la superstizione non manca.
E la teoria di volti, di
nomi e di date tutto pianfica: tempo e spazio.
Nonni, padri e nipoti sono accomunati in una sola lastra tombale, in un
unico simulacro, in un unico ammasso di ossa o di ceneri.
Il tempo e lo spazio non hanno più valore, la vita stessa perde il suo
significato; e pure il ricordo non ha più tempo.
La preghiera per i defunti (ma forse anche per noi stessi) viene spontanea,
ed il senso d’angoscia diventa latente e ti assale vieppiù, specie l’eco
delle grida dei familiari verso i propri cari che si fa straziante.
E non è tanto il senso
della morte che ti incombe quanto l’incertezza del futuro.
E se pure resti ammutolito,di ghiaccio (ngetréte), dal tuo animo vuol
sprigionarsi un grido lacrimevole sulla esistenza umana.
E quelle grida sono le tue lamentazioni e non v’è divieto che tenga (per la
quiete pubblica) che ti frena
Per la celebrazione della
solennità d’Ognissanti e dei defunti, le pratiche, sia religiose che
profane, nella tradizione sipontina, non mancano.
Va subito detto che in questi giorni non si usa mangiare ne
carne ne pesce, bensì baccalà.
Nelle due notti, precedenti l’1 ed il 2 novembre, infatti, i pescatori non
si recano a lavorare sul mare, perchè è convinzione abbastanza radicata che
in queste notti si pescano le ossa dei morti (specie quelli per naufragio, e
non sono pochi).
Non è che ciò non avvenga
o non possa avenire anche in altri giorni, solo che quelle notti sono
soffuse di timore e panico ancestrale, anche per le cose che appresso
diremo, per cui è opportuno osservare il riposo più assoluto, con il
ricordo, forse, alle sciagure patite e sofferte.
Ed in questo voluto riposo c’è un che di sacro, in quanto nessuno pi� del
pescatore sa quanto la vita e la morte convivano nell’attimo fuggente.
Chi vive sul mare è aduso
ai fortunali, i suoi occhi, infatti tradiscono (so sturte), nella loro
conformazione orbitale, tutte le angosce vissute; essi ne sono la
testimonianza vitale.
Ecco perchè, vi è, nei pescatori, l’idealizzazione della morte, perchè gli è
compagna nel loro continuo travaglio.
Ecco perchè, allora, queste due notti sono sacre.
La notte precedente il due novembre, nelle case si usava, e si usa ancora, preparare e predisporre il tavolo per il desinare, con tutte le stoviglie, il pane ed il boccale dell’acqua; si crede che in questa notte i morti escano dai loro simulacri per visitare le proprie dimore ed i rispettivi parenti; e si vuole, pure, che si soffermino a mangiare presso il desco che per loro si è preparato.
E la presenza dei morti, presso le case o vicino ai familiari, perdura per tutta la festività natalizia, per allontanarsi, poi, nel giorno dell’Epifania.
E nella notte che precede questa festività essi fanno in modo di manifestarsi ai viventi, in vari modi: nel sonno, in un ricordo improvviso, in una circostanza inconscia ed inconsapevole, ed anche con fugaci ed evanescenti apparizioni.
La nascita del Cristo, per
la redenzione dei peccati, è anche un atto liberatorio delle anime dei
defunti (l’aneme du Preiatorie), per cui v’è, forse, una sorte di memento
per i viventi, ma anche un’ invocatio per le preghiere liberatrici.
E si può nascondere che il profano si trasfonda nel sacro?
E sempre nella notte che precede il 2 novembre le case vengono illuminate solo da una teoria di ceri accesi, con l’evidenziazione di effigi, di foto dei defunti, o di immaginette di santi protettori, verso i quali si chiede di impetrare la grazia della resurrezione dell’anima dalle tenebre degli inferi.
E la notte stessa diventa un’ attesa ; un’attesa anche per l’Avvento del Cristo sulla terra (Kriste ndèrre).
E questa attesa è cosi
viva e così pregna che il terreno ed il caduco sono banditi, l’affetto dei
cari non conosce uguali, il culto dei lari è sacro, per gli altri e per noi
stessi.
Il tutto in una sorta di continuità, anche questa, senza spazio e senza
tempo, sempiterna.
E non è Fede questa?
La festività d’Ognissanti
e dei defunti, per i bambini, però, assume anche altre significazioni.
E’ costume da noi, infatti, porre in grosse calze di lana, tutte
le specie di frutti che si producono nella stagione autunnale: castagne (kastanne),
mele cotogne (ketunne) ed altre leccornie.
Le calze, così
riempite, vengono poste sulla parte alta del letto (a kkép ù
litte) dei bambini, di nascosto, quando, essi dormono, affinchè essi,
il giorno dopo, appena svegli, le trovino sulle loro teste.
E si dice agli stessi bimbi che, durante la notte, i parenti defunti, in
visita alle case, hanno portato loro i regali.
In altre parti d’Italia e della Puglia, quest’uso viene consumato il giorno dell’Epifania.
E non di rado,
durante l’anno, nello sgridare i bambi, per le loro monellerie o
disubbidienze, si usa dire: se non fai il buono i morti non ti porteranno
niente (se ne nfé u bbune- se fe ù kattive- i murte.
kuann-ii ka ji. ne nde portene ninde).
E non mancano, così, brutte sorprese, ma con celia, che le calze vengano
riempite di soli carboni (chiùne de karevune a ccokke- kum-i cokke de
murte) (piene di carboni a tocchetti, come le ossa dei morti).
L’ uso di
confezionare le calze persiste ancora, anche se oggi, i bimbi, dissacrati,
le vedono in bella esposizione nei negozi di drogheria o di pasticceria o
presso i bar. (che peccato… n.d.r.)
Le stesse sono pure oggetto di regali da parte dei giovani alle fidanzate o
alle spose.
Ed in tema di fidanzate e
di spose, va pur detto che nel giorno della festivitàà dei defunti le nuore,
nubili o sposate, visitano le suocere, avviandosi con loro verso le tombe
dei defunti.
Esse, poi saranno loro ospiti.
E le suocere, ovviamente, non mancheranno di contraccambiare la cortesia con
un vistoso regalo.
Ed anche questa
visitazione ha un significato recondito, la nuora o la fidanzata
è entrata in casa, si; ha avuto modo di essere presentata a parenti vivi,
sì; ma il giorno dei morti essa è come se venisse presentata ai defunti.
Eh si perchè la famiglia si compone e si compatta non solo con e tra i vivi,
ma anche, se non soprattutto, con i cari defunti.
Per le famiglie meno
abbienti, che non potevano preparare e riempire le calze ai propri bimbi;
chè tale era il bisogno una volta, che necessitava anche della frutta di
stagione (e manco a pensare a cioccolatini e caramelle, biscotti e roba
varia) c’era pure chi ci pensava.
Le calze per questi bimbi venivano portate dai coetani di famiglie
imparentate o amiche.
Ed il tutto avveniva in
sul fare dell’alba, quando il sonno è più profondo.
Ed allora un’eco si sprigionava per i vicoli e le strade, essa si insinuava
nelle pareti domestiche con suono corale e lamentoso.
I bimbi che prodigavano la loro abbondanza ai loro coetanei più poveri, a
frotte, insonnoliti ed infreddoliti, usavano dire:
A’ kavezette appese u litte!… (la calza appesa al letto!…)
Un uso, ormai scomparso,
di questo periodo era quello di far rosolare il grano in apposito recipente
(farenére pecceninne: setaccio), cos� come per le castagne o per le
fave, i ceci, ecc…(i féfe. i cicere arrustute).
Il grano, così cotto (u grène i murte), veniva consumato ben caldo,
per sfamare la fame atavica.
Non si mancava, nelle
famiglie più abbienti, di intingere lo stesso grano nel vin cotto (u
vine kutte) per insaporirlo (cchiù saprite).
Lo stesso grano, con altre leccornje, veniva costipato nelle “calze” od
anche veniva offerto, sempre dalle famiglie abbienti, ai familiari o ai
conoscenti, in atto di devozione verso i defunti.
Nella cultura contadina
sipontina (ma anche in quella garganica e meridionale) il periodo di tempo
tra la festività di S.Francesco
(4 ottobre) e la commemorazione dei defunti è quello più indicato per la
semina del grano e degli ortaggi (in ispecie: fave e piselli).
Infatti, nei proverbi locali allusioni non ne mancano; in particolare
abbiamo: Prime de l’aneme i murte ce semene pe lla vasenze e ppe
ll-alture (prirna dei giorni dei morti/ si semina sia nel piano che
sulle alture o in montagna)
A tutti sande: omne
zippre ii ssande
(con Ognissanti/ ogni fuscello-piantato- è santo; cioè santificato, crescerà
bene).
Tutto ciò si spiega con il tipo di clima, con piogge prevalentemente
autunnali, che si ha nelle nostre plaghe.
E non manca quasi mai di piovere, da noi, proprio nei giorni del 1 o del 2
Novembre; e tale manifestazione metereologica, naturalmente, è presa per
buon auspicio, per futuri raccolti.
La consuetudine della “calza”, nella notte della festività dei defunti, da noi, è molta antica; in merito ecco cosa ne scrive il Bellucci La Salandra : “…Se la Befana in molte regioni d’Italia viene celebrata il 6 Gennaio (festa dei bambini), a Manfredonia invece la celebrano alla vigilia di Tutti i Santi (1 Novembre ), collocando dietro le porte delle abitazioni calze da uomo o da donna, che la massaia pensa, quando i bimbi si sono addormentati, a riempire di frutta secca e qualche volta anche di dolci e confetti misti a danaro…”
Sono queste le cosidette cavezette di murte (la calzetta dei morti), da far credere ai bambini che la notte vengono i morti a riempirle.