IL SEBETO: IL MISTERIOSO FIUME DI NAPOLI
Indice : il fiume scomparso. ricognizione storica - ricognizione topografica - le ipotesi
IL FIUME SCOMPARSO
Napoli è nota come la città dove scorre il fiume Sebeto: sul lungomare vi è anche una artistica fontana seicentesca che raffigura il Sebeto e non mancano gruppi folcloristici, associazioni, teatri, imprese commerciali che si richiamano al suo nome.
Però se domandate a un Napoletano dove sta il Sebeto, risponderà che non lo sa, resterà confuso, forse anche un po mortificato. Se poi cercate su una piantina di Napoli non trovate da nessuna parte un fiume di nome Sebeto, anzi non trovate nemmeno nessun fiume di qualunque nome: solo un stradina fra la ferrovia e il mare porta questo nome illustre: il fiume più vicino è il Sarno che scorre oltre il versante opposto a Napoli del Vesuvio, a oltre 40 chilometri
Ma allora dove è finito questo fiume? Non pretendiamo di risolvere il mistero, presumibilmente irrisolvibile, ma di proporre un ricognizione se non esaustiva almeno completa, anche se sintetica, degli aspetti storici e topografici alla cui luce poi valutare le ipotesi preposte
RICOGNIZIONE STORICA
Il problema del Sebeto nasce tutto da un verso dell’Eneide.Nel Libro VII Virgilio fa una specie di rassegna delle genti e dei miti dell’Italia: in essa dal verso 733-740 leggiamo
Nec tu
carminibus nostris indictus abibis,
Oebale, quem generasse Telon Sebethide nympha
fertur, Teleboum Capreas cum regna teneret, 735
iam senior; patriis sed non et filius aruis
contentus late iam tum dicione premebat
Sarrastis populos et quae rigat aequora Sarnus,
quique Rufras Batulumque tenent atque arua Celemnae,
et quos maliferae despectant moenia Abellae, 740
Nella versione italiana tradizionale di Annibal Caro:
Èbalo, te n'andrai, del gran Telone
e de la bella Ninfa di Sebeto
figlio onorato. Di costui si dice
che, non contento del paterno regno,
Capri al vecchio lasciando e i Teleboi,
fe' d'esterni paesi ampio conquisto,
e fu re de' Sarrasti e de le genti
che Sarno irriga. Insignorissi appresso
di Bàtulo, di Rufra, di Celenne
e de' campi fruttiferi d'Avella.
Si parla quindi di un eroe mitico, Ebalo indicato come figlio della ninfa del Sebeto e di Telone: nei versi seguenti si accenna alle sue conquiste e si cita anche il fiume Sarno tuttora esistente e ben conosciuto: solo quindi un vago accenno al Sebeto, una localizzazione piuttosto generica, nessuna descrizione, nessun accenno a Napoli
A collegare il Sebeto a Napoli sono invece due autori di poco posteriori: Stazio e Columella
Publio Papinio Stazio, nato a Napoli nel 40 d. C, nelle Silvae scrive : “il Sebeto vada orgoglioso per quella che ha nutrito”
Lucio Giunio Moderato Columella era nato invece a Cadice ma possedeva delle proprietà in Campania: scrisse un’opera unica nel suo genere ,nell’antichità, “De re rustica”, un vero trattato di agricoltura che fece testo fino al 1700: in esso si trova scritto; “la colta Partenope è bagnata dalla benefica acqua del Sebeto "
In tutte e due i casi quindi solo una semplice citazione,che pero ci danno la certezza storica che il Sebeto, ricordato da Virgilio, esisteva effettivamente e che esso era a Napoli .
Nessuno degli antichi però ha mai cantato il fiume, la purezza delle sue acque o l’ombrosità delle sue sponde come erroneamente viene spesso riferito.
L’esistenza del Sebeto ci viene confermato anche da due importanti ritrovamenti archeologici di epoca greca e romana. Il primo è una moneta greca del V secolo a.C. sulla quale è rappresentata una testa giovanile con un corno in fronte e con la scritta “Sepeithos”: sul retro una donna alata e la scritta : “neapolites”: il giovane dovrebbe raffigurare un dio fluviale mentre Sepeithos è verosimilmente la versione greca del nome latino Sebetho
Di epoca romana imperiale è invece il secondo ritrovamento: un lapide che reca la iscrizione “P. Mevius Eufychus aedicolam restituit Sebetho (P Mvius Eufychus fece ricostrure l’edicola al Sebeto)
In conclusione: dalle fonti letterarie e archeologiche possiamo concludere con certezza che effettivamente nella antichità doveva esserci a Napoli un fiume di una certa consistenza tale che ad esso, secondo l’usanza dei tempi, veniva anche associata una divinità
Tramontò l’Impero Romano, vennero i secoli del medioevo e nessuna altra notizia abbiamo del fiume, nè del nome, ambedue spariti nel nulla. Nel 1300 Boccaccio, buon lettore di Virgilio, abitò per qualche tempo a Napoli ma non trovò niente che potesse essere considerato il Sebeto: anche lui chiese ai napoletani del tempo dove fosse mai questo fiume e. allora come oggi, i napoletani non seppero rispondere.
Probabilmente del Sebeto non si sarebbe più sentito parlare se esso non fosse stato cantato dai due massimi esponenti dell’umanesimo napoletano, il Pontano e il Sannazzaro
Giovanni Pontano nacque a Cerreto di Spoleto, nel 1429 ma venne poi al servizio degli Aragaonesi a Napoli, dove morì nel 1503
Nel 1496 compose la "Lepidina”, una lunga egloga che descrive le mitiche nozze del Sebeto con la ninfa Partenope : a differenza di Virgilio la divinità del fiume è maschile ( come nei reperti archeologici) e viene connesso con l’altro mito illustre di Napoli, la sirena Partenope. Nella egloga compaiono anche numerosi personaggi che nei nomi e nei tratti ricordano numerose località di Napoli e dintorni: Posillipo, Mergellina, Monte Echia, Capri, Procida, Resina, il Sarno
Jacopo Sannazaro, (1457 –1530) nato e vissuto a Napoli nella “prosa XII” della sua opera più nota, la Arcadia, canta ancora il Sebeto come luogo di delizie campestri
Nè l’uno ne l’altro autore danno alcuna indicazione concreta del mitico fiume : il primo d’altra parte canta solo un mito, il secondo attribuisce al Sebeto un carattere di pace campestre. appunto “arcadico” che certo non poteva avere un fiume che scorreva presso un affollatissima città. In seguito però gli studiosi cominciarono a interrogarsi dove si trovasse effettivamente il fiume il cui nome non ricorreva nella toponomastica locale e cominciarono quindi a farsi molte ipotesi, alcune veramente singolari: di esse riferiremo pero inseguito
Nel territorio di Napoli non vi sono sorgenti che possano alimentare fiumi perenni: Invece vi sono, ancora facilmente riconoscibili, una serie di valloni nei quali, a regime puramente torrentizio, scorreva dell’acqua quando pioveva, e se le piogge erano molto intense potevano anche avere effetti devastanti, : vengono definiti “cavoni” o anche “canaloni” quelli più profondi ,e poi “arene” quelli più aperti Di tali corsi tutti discendenti dalle pendici dai Camaldoli ,la collina più elevata della zona (480 metri) tre sono i principali che ricevono poi acqua da molti altri secondari e, benche ormai privi di acqua, sono però pienamente riconoscibili
Nessuno di essi ha un vero proprio nome ben definito: noi per comodità di esposizioni, ci riferiremo ad essi come canalone di Miano, della Sanità e della Arenella.
Il primo,quello di Miano, nasce presso l’attuale Policlinico, passa sotto l’attuale ponte di S. Rocco quindi del pù moderno ponte di Bellaria divide il parco di Capodimonte da Miano, per scendere quindi a valle presso le attuale vie Masoni e S. Maria ai Monti fino ai Ponti Rossi. Il percorso è ancora attualmente perfettamente conservato anche se l’acqua non vi scorre quasi più Poi il canale proseguiva per l’attuale via arenaccia (da cui il nome) e corso Novara per gettarsi, oltre la stazione ferroviaria, in mare sotto l’ancora esistente Ponte della Maddalena Dall’arenaccia in poi i il tratto è stato interrato in epoca recente: ne rimane ancora qualche traccia nella toponomastica : Via Ponte di Casanova e si vede ancora qualche vestigia del ponte
Il secondo canalone è quello delle Sanità, non più esistente ma di cui si hanno ricordi storici fino all’800. Era una diramazione del precedente : si staccava nei pressi dei parco di Capodimonte, scendeva per la Sanità ( per via Arena della Sanità, appunto), per il borgo di Vergini, scendeva per via Cirillo e via Carbonara lambendo le mura della città, quindi si gettava in mare percorrendo l’ultimo tratto nell’attuale Via del Lavinaio (“lava” cioè corso di acqua) dove vi erano anche dei mulini mossi da acqua ( donde un vicolo Molino) : la foce non era lontana dal Ponte della Maddalena dove sfociava l’altro canalone. Nel 1400, per l’ampliamento delle mura cittadine, fu deviato per l’attuale via Cesare Rossarol e fatto quindi confluire nel canalone di Miano, all’Arenaccia
Quando pioveva copiosamente il corso del canalone alla Sanità e ai Vergini diventava impetuoso e pericoloso e poteva provocare molti danni : era proverbiale a Napoli l’espressione:” lava dei Vergini” per indicare cosa che non si può contenere. Per questi inconvenienti nell’800 il corso fu dirottato e fatto confluire nell’altro corso della Arenaccia, più a monte, con una condotta forzata attraverso la collinetta di Miradois
Il terzo corso d’acqua scendeva dall’Arenella. Esso è riconoscibile solo topograficamente ma non si hanno notizie storiche poiché, a differenza dei primi due, si è prosciugato in un tempo lontano lasciando solo una traccia: il nome Arenella data alla zona di provenienza. Presumibilmente attivo nell’antichità, si è poi prosciugato nel medio evo: ipotizziamo perche si è deviato probabilmente nel canalone che va verso Soccavo. Il suo percorso però è tuttora facilmente riconoscibile anche se occupato da antiche stradine che scendono giù dalla collina . Si originava dalla zone degli Ospedali, scorreva prima per la Via Gerolomini, quindi per Due Porte all’Arenella, vico Nocelle e quindi in Via F S Correra detta ancora il Cavone : un tratto incassato profondamente fra due alture e pieno di caverne. Quindi attraversava l’attuale piazza Dante, scendeva per l’attuale via Monteoliveto (la Posta) per gettarsi in mare nella zona di Piazza Municipio.
Riceveva degli affluenti fra cui si riconoscono agevolmente il tratto di Via Conte della Cerra ( presso vico Nocelle) e quello della Via S. Antonio ai Monti (Ventaglieri)
I corsi di acqua di cui abbiamo parlato hanno regime torrentizio perche Napoli, in realtà è su un rilievo,costituito dalla propaggine più orientale dei Campi Flegrei. Ad oriente però della città antica vi è una zona pianeggiante racchiusa fra le alture di Napoli e il Vesuvio ( monte Somma) nella quale vi sono pure delle sorgenti, nel comune di Volla (da “polla”, cioè sorgente) in località Lufrano captate però dagli acquedotti già nel passato ) Inoltre un’altra fonte si trova a Somma Vesuviana alle pendici del monte Somma in località detta S. Maria del pozzo. E’ una zona bassa, anche attualmente soggetta ad allagamenti in caso di piogge intense. Fino al secolo sorso era segnata da paludi che si estendevano d’altronde per una vastissima zona tutto intorno a Napoli. ( vi è ancor la chiesa di S. Anna alle paludi: un lungo canale, costeggiato dalla via dell’Argine fu costruita per far defluire l’acqua in mare nella zona di S Giovanni a Teduccio: il canale è stato interrato solo da qualche decennio
LE IPOTESI
In genere il Sebeto veniva identificato nel corso di acqua che scorre sotto il Ponte della Maddalena per la semplice ragione che dal 500 in poi costituiva l‘unico corso naturale di acqua esistente nelle immediate vicinanze di Napoli: infatti in epoca aragonese, nella seconda meta del 400, come abbiamo visto, anche l’altro canalone che discendeva per la Sanità e i Vergini era stato deviato dal suo corso per il Lavinaio ed era stato fatto confluire in esso: l’altro fiume più vicino a Napoli infatti come abbiamo visto era il Sarno (pure citato da Virgilio insieme al Sebeto ) che però sbocca a oltre 40 chilometri di distanza sull’altro versante del Vesuvio e quindi non può essere certo identificato con il Sebeto
Il Canalone che sfocia alla Maddalena veniva denominato Rubeolo che piu che un nome proprio era il un termine generico che significava “piccolo rivo “
Dalla ricognizione topografica pero abbiamo visto che si trattava solo di un corso torrentizio di scolo di acque piovane senza alcun sorgente: non è possibile allora immaginare che ad esso fosse connessa un divinità, maschile o femminile che fosse, come invece le fonti storiche chiaramente mostrano
E’ presente anche l’opinione che il Sebeto fosse dall’altra parte della città e che sfociasse quindi verso piazza Municipio e identificabile con il canalone proveniente dall’Arenella. Si parte da una testimonianza di Tito Livio che porrebbe il Sebeto in quella zone (l’opinione è riportata anche dall’enciclopedia Wikipedia.) In realtà però Tito Livio scrive:
“Publilio, occupata una posizione favorevole tra Paleopoli e Napoli, aveva già privato il nemico di quella reciproca assistenza di cui i diversi popoli avversari si erano serviti” (libro VIII, 23 )
Che una tale posizione fosse quella della foce di un fiume, che questo fosse poi il Sebeto è una supposizione priva di qualsiasi riscontro.
Senza poi contare che Tito Livio scrive tre secoli dopo gli eventi, non da nessuna notizia topografica certa di luoghi che non conosceva.
Rimarrebbe poi il problema fondamentale che si trattava di un semplice canale
Si è fatto allora una ipotesi ardita. L’acqua proveniente dalle sorgenti di Volla scorreva nell’antichità invece verso occidente, costeggiava tutta la città, riceveva come affluenti i corsi di acqua che abbiamo visto, i tre torrenti della Arenella, della Sanita e di Miano passava per l’attuale via Foria scendendo quindi nella zona di Piazza Municipio. Quindi un conformazione topografica molto diversa dall’attuale in grado di sostenere un fiume vero e proprio per quanto di piccole portata. Tuttavia, guardando ll terreno, il percorso appare poco plausibile:occorre ipotizzare che la conformazione del terreno sarebbe stata molto diversa dall’attuale e che la zona costiera orientale ( dove sta il ponte della Maddalena ) fosse nell’antichità più alta di qualche metro. L’ipotesi per quanto suggestiva, però non è suffragato da alcuna prova o indizio nè storico, nè topografico. D’altra parte è comune opinione degli storici, suffragata dalla semplice ricognizione dei luoghi che Napoli venne costruita si una zolla tufacea che aveva una difesa naturale proprio dai canaloni che abbiamo visto. Difficile ipotizzare che l’acqua potesse risalire per via Foria, che fra la parte orientale di Napoli e il mare ci fosse un ostacolo naturale in grado di impedire all’acqua di defluire. D’altra parte in epoca storica, nella zona interessata non sono segnalati movimenti vulcanici o tettonici o bradisismi che potessero determinare tali cambiamenti
Una ipotesi molto originale fu avanzato nel 600 dal Celano secondo il quale il Sebeto scorre ancora ma nel sottosuolo di Napoli: ritiene che esso scorresse all’interno delle mura e che una violenta tempesta nel 1342 (di cui abbiamo notizia perché descritta da Petrarca) ha sconvolto la zona della foce situata nella zona di Monterone (nei pressi della Università) interrandola. Ma nessun fiume scorre sotto Napoli ma solo antichi acquedotti risalenti in parte all’epoca greco romana. Che il fiume poi scorresse all’interno delle mura non è compatibile con la morfologia del territorio e nemmeno con gli usi antichi: un fiume che entra in città attraversando le mura le renderebbe inutili . E’ vero pero che nella zona indicata effettivamente vi era uno scolo di acqua piovana: essa è ancora facilmente riconoscibile nella via del Grande Archivio e fungeva da collettore di acque piovane per la città
Allora dove stava il Sebeto: ? Credo che bisogna partire da un fatto del tutto evidente
Le colline che contornavano Napoli greca romana non potevano dar luogo un fiume ma le immediate vicinanze orientali erano e sono tuttora ricche di fonti e di acque.
Anche senza averne nessuna conferma storica o morfologica la soluzione pare allora abbastanza semplice: il Sebeto scorreva nelle immediate vicinanze orientali della città, scaturendo dalle sorgenti che si trovano nel territorio fra le colline e il monte Somma: la zona è stata interessata da molte eruzioni vulcaniche non solo quelle notissima del 79 d, C., che distrusse Pompei Questi movimenti hanno alterato la zona fra le colline e il Somma e quindi il fiume è sparito e il terreno diventato paludoso fino a che i canali artificiali (come quello di via Argine) non lo hanno prosciugato. Il Sebeto era un breve corso di acqua che scaturiva da una o più fonti nella zona di Volla. La divinità poteva essere associata alle fonti più ancora più ancora che al fiume come era uso degli antichi