Perché Benedetto XVI non ha voluto tacere, né ritrattare
di Sandro Magister
La lezione capolavoro del papa teologo, dalla cattedra dell'università di
Ratisbona, ha davvero messo i brividi al mondo. Perché quello che Benedetto XVI
là ha detto, è avvenuto. Il papa ha spiegato la distanza che corre tra il Dio
cristiano che è amore, immolato in Gesù sulla croce, ma è anche “Logos”,
ragione, e il Dio adorato dall'islam, così trascendente e sublime da non esser
legato più a nulla, nemmeno a quel ragionevole asserto secondo cui non dev'esserci
“nessuna costrizione nelle cose di fede”. Il Corano questo scrive, nella sura
seconda puntualmente richiamata dal papa, ma poi scrive anche altro ed opposto.
E la violenza che s'è avventata dal mondo musulmano sul papa e i cristiani
conferma che è questo altro a pesare, a dar forma e sostanza allo sguardo che
miriadi di fedeli di Allah lanciano sul mondo infedele. L'altra faccia della
lezione di papa Joseph Ratzinger a Ratisbona è il sangue versato nella musulmana
Mogadiscio da suor Leonella Sgorbati, donna velata ma libera, una martire la cui
ultima parola è stata per i suoi uccisori: “Perdono”.
Veramente, la quasi totalità della lezione di Benedetto XVI a Ratisbona era
rivolta al mondo cristiano e all'Occidente e all'Europa, a suo giudizio così
sicuri, troppo, della loro nuda ragione da smarrire il “timore di Dio”. Ma anche
qui le parole del papa hanno trovato conferma nei fatti. Di pari passo col
crescere della violenza verbale e fisica di parte musulmana, sull'altro
versante, quello teoricamente suo, il papa è stato bersaglio di incessanti
bordate di fuoco amico. Come i dotti compagni di Giobbe imputavano a lui la
colpa delle sue disgrazie, così attorno a Benedetto XVI è stato tutto un
vorticare di consigli e rimproveri d'analogo segno.
Anche in Vaticano è andata così. Benedetto XVI ha avuto la fortuna d'insediare
un nuovo segretario di stato e un nuovo ministro degli esteri, entrambi di sua
stretta fiducia, proprio il giorno d'avvio dell'attacco musulmano contro di lui,
venerdì 15 settembre, appena tornato dal suo viaggio in Baviera. Ma il brontolio
della curia a lui ostile non s'è affatto acquietato, anzi. Passi per il nuovo
ministro degli esteri, che è l'arcivescovo corso Dominique Mamberti, che è stato
nunzio in Sudan, Somalia, Eritrea e prima ancora in Algeria, Libano, Kuwait,
Arabia Saudita, e quindi è un conoscitore diretto del mondo arabo e musulmano,
versato nelle arti diplomatiche. Ma la nomina a nuovo segretario di stato del
cardinale Tarcisio Bertone, questa no, non gliel'hanno perdonata. Il fatto che
Bertone non sia un diplomatico di carriera, ma un uomo di dottrina e un pastore
d'anime, è ora ritorto ancor più contro il papa, come prova della sua
inettitudine sulla scena politica del mondo. In Baviera, a passaggio delle
consegne non ancora avvenuto, accompagnava Benedetto XVI il segretario di stato
uscente, il cardinale Angelo Sodano, una vita tutta spesa in diplomazia. Ma il
papa si guardò bene dal far controllare previamente da lui la lezione che si
apprestava a dettare a Ratisbona. Blocchi interi del testo sarebbero stati
censurati, se a criterio supremo fosse stata eletta quella Realpolitik di cui si
nutre la diplomazia vaticana di Sodano e colleghi.
Anche per Benedetto XVI il realismo nei rapporti tra la Chiesa e gli stati è un
valore. Lo è stato con i sistemi totalitari del Novecento: col nazismo tedesco
come col comunismo sovietico. I controversi silenzi di Pio XII col nazismo e
poi, col comunismo, di Giovanni XXIII, del Concilio Vaticano II e della
Ostpolitik di Paolo VI avevano le loro forti ragioni, in primo luogo la difesa
delle vittime di quei sistemi medesimi. Ma ora un pari silenzio si esige da
Benedetto XVI nei confronti del nuovo aversario, l'islam: un silenzio al quale
spesso si dà il nome di dialogo. Papa Ratzinger non l'ha rispettato? Ed ecco il
contrappasso che si merita, ad opera dell'islam “offeso”: minacce, cortei, roghi
in effigie, governi che pretendono ritrattazioni, ambasciatori richiamati,
chiese incendiate, una suora uccisa. Di tutto ciò il papa si vede assegnare la
sua parte di colpa. Mentre invece è beatificato “post mortem” il predecessore
Giovanni Paolo II, che pregava mite ad Assisi assieme ai mullah musulmani e
visitando a Damasco la moschea degli Omayyadi ascoltava in silenzio le invettive
scagliate dai suoi ospiti contro i perfidi ebrei. Nessuna fatwa ordinò allora di
abbattere le mura vaticane, né di sgozzare papa Karol Wojtyla. Ali Agca, che gli
sparò contro, era musulmano per caso, l'assassinio era stato ordito in
territorio cristiano...
Al realismo della politica, Benedetto XVI non nega il giusto prezzo. La
segreteria di stato ha mobilitato la rete delle sue nunziature perché i governi
abbiano a disposizione il testo integrale della lezione di Ratisbona, così come
la nota di spiegazione ufficiale diffusa sabato 16 settembre dal cardinale
Bertone e le giustificazioni dette all'Angelus di domenica 17 dal papa in
persona. Entro fine settembre saranno convocati in Vaticano per un'ulteriore
atto distensivo gli ambasciatori dei paesi a maggioranza musulmana. E il
pontificio consiglio per la cultura presieduto dal cardinale Paul Poupard
prepara un incontro con esponenti religiosi dell'islam.
Ma per Benedetto XVI il realismo non è tutto. Il dialogo che vuole tessere con
l'islam non è fatto di pavidi silenzi e di abbracci cerimoniali. Non è fatto di
umiliazioni che in campo musulmano sono interpretate come atti di sottomissione.
La citazione che egli ha fatto a Ratisbona dei “Dialoghi con un maomettano”
scritti alla fine del Trecento dal dialogante cristiano, l'imperatore bizantino
Manuele II Paleologo, l'aveva scelta a ragion veduta. Si è in guerra,
Costantinopoli è sotto attacco e di lì a mezzo secolo, nel 1453, sarebbe caduta
sotto il dominio ottomano. Ma il colto imperatore cristiano porta il suo
interlocutore di Persia sul terreno della verità, della ragione, della legge,
della violenza, su ciò che fa la vera differenza tra la fede cristiana e
l'islam, sulle questioni capitali da cui discendono la guerra o la pace tra le
due civiltà.
Anche i tempi attuali papa Ratzinger li vede come gravidi di guerra, e di guerra
santa. Ma chiede all'islam di fissare esso stesso un limite al “jihad”. Propone
ai musulmani di slegare la violenza dalla fede, come prescritto dallo stesso
Corano. E di riallacciare invece alla fede la ragione, perché “agire contro la
ragione è in contraddizione con la natura di Dio”.
A Ratisbona il papa ha esaltato la grandezza della filosofia greca, quella di
Aristotele e Platone. Ha mostrato che essa è parte integrante della fede biblica
e cristiana nel Dio che è “Logos”. E anche questo l'ha fatto a ragion veduta.
Quando il Paleologo dialogava col suo interlocutore persiano, la cultura
islamica era da poco fuoruscita dal suo periodo più felice, quello dell'innesto
della filosofia greca sul tronco della fede coranica. Chiedendo oggi all'islam
di riaccendere il lume della ragione aristotelica, Benedetto XVI non chiede
l'impossibile. L'islam ha avuto il suo Averroè, il grande commentatore arabo di
Aristotele di cui fece tesoro un gigante della teologia cattolica come Tommaso
d'Aquino. Un ritorno, oggi, alla sintesi tra fede e ragione è la sola via perché
l'interpretazione islamica del Corano si liberi dalla paralisi fondamentalista e
dall'ossessione del “jihad”. È il solo terreno per un dialogo veritiero del
mondo musulmano con il cristianesimo e l'Occidente.
All'Angelus di domenica 17 settembre, ripreso in diretta anche dalla tv araba Al
Jazeera, Benedetto XVI ha detto il suo “rammarico” per come la sua lezione è
stata fraintesa. Ha detto di non condividere il passaggio da lui citato di
Manuele II Paleologo, secondo il quale in ciò che di nuovo ha portato Maometto
“troverai soltanto cose cattive e disumane, come la direttiva di diffondere per
mezzo della spada la fede”. Ma non si è scusato di niente, non ha ritrattato una
sola riga. La lezione di Ratisbona non è stata per lui un esercizio accademico.
Là non ha smesso le vesti del papa per parlare solo la lingua sofisticata del
teologo, a un uditorio di soli specialisti. Il papa e il teologo in lui sono
tutt'uno, per tutti. Il cardinale Camillo Ruini, che più di altri capi di Chiesa
ha capito l'essenza di questo pontificato, ha detto lunedì 18 settembre al
direttivo dei vescovi italiani che “le coordinate fondamentali” del messaggio
che Benedetto XVI va proponendo alla Chiesa e al mondo sono in questi tre testi:
l'enciclica “Deus Caritas Est”, il discorso alla curia romana del 22 dicembre
2005 sull'interpretazione del Concilio Vaticano II e, ultima ma non meno
importante, la “splendida” lezione di Ratisbona.
Benedetto XVI è fiducioso. Non avrebbe osato tanto se non credesse in una reale
possibilità che nel pensiero islamico si riapra un'interpretazione del Corano
che sposi fede e ragione e libertà. Però troppo deboli e rare, quasi
introvabili, sono le voci che nel mondo musulmano raccolgono la sua offerta di
dialogo. E troppo solo il papa si trova, in un Europa smarrita che un po'
somiglia davvero all'Eurabia descritta da Oriana Fallaci, una “atea cristiana”
che egli ha letto, incontrato e stimato. E poi c'è la violenza che incombe sui
cristiani in terra d'islam, e anche fuori. Quando per far tacere il papa si
uccidono i suoi, tanto più se innocenti, una suora, una donna.