LA PACE NEL MONDO
LA PACE. OGGI Giovanni De Sio Cesari
Abbastanza comune è la impressione che la nostra epoca sia piena di guerre e ci si chiede angosciosamente se sarà mai possibile un giorno, quando che sia, che si giunga alla pace. In realtà una tale impressione è del tutto priva di fondamento e possiamo dire che già oggi, e non in un lontano futuro, la maggior parte del mondo è in pace: la guerra in realtà è confinata solo in determinate aree e anche in quelle è complessivamente in rapida regressione Per procedere a un discorso chiaro e rigoroso premettiamo alcune chiarificazioni dei termini osservando che · Si intende per guerra non solo le guerre fra stati e fra eserciti schierati in battaglia ma anche guerriglie, rivoluzioni, controrivoluzioni e repressioni generalizzate: la Russia delle “purghe” staliniane, la Cina della Rivoluzione Culturale,Il Cile di Pinochet e l’Argentina di Videla sono nazioni in guerra · Per pace non basta che non ci sia la guerra ; occorre anche che non vi siano prospettive di guerra (o rivoluzioni, repressioni) secondo una ragionevole previsione: nel 1913 o nel 1938 l’Europa era già in guerra nel senso che si preparava alle due grandi guerre mondiali. · Non distinguiamo fra guerre (rivoluzioni) giuste o meno, legittime o meno: ci limitiamo ad osservare il fenomeno senza giudicarne le motivazioni: ovviamente ciascuna delle parti in causa sosterrà di essere nel giusto, di esercitare una legittima difesa. Anche gli attentatori dell11 settembre affermano di combattere una guerra di difesa, giusta, anzi santa · Il concetto di guerra non deve essere esteso alle rivalità, ai conflitti di interessi o di culture, alla mancanza di solidarietà, alla delinquenza comune: per guerra intendiamo violenza organizzata politicamente orientata: se allarghiamo il concetto allora finiamo con l’identificare la guerra con il male ma questa è tutta altra questione
Se guardiamo al secolo che è passato noi vediamo che fino agli anni ’40 la fede nella guerra era dominante in tutto il mondo. Dappertutto e a tutti i livelli era diffusa la credenza che la guerra o la rivoluzione violenta potesse risolvere i problemi che si erano accumulati: le folle esplodevano in entusiasmi genuini alle dichiarazioni di guerra. acclamava allo scoppio delle rivoluzioni. Si ebbe quindi la Prima e la Seconda guerra mondiale, l’invasione giapponese della Cina, la rivoluzione messicana, la rivoluzione comunista in Russia e poi in Cina, la guerra di Spagna: milioni di uomini si affrontarono in gigantesche battaglie, in sanguinose rivoluzioni, in repressioni implacabili, in genocidi spaventosi Con la fine della Seconda Guerra Mondiale la pace ha iniziato un cammino che in termini storici è stato rapidissimo confinando la guerra alla periferia del mondo: Notiamo innanzi tutto che le guerre fra stati per dispute territoriali che furono la "regola"fino a un recente passato sono ormai quasi scomparse Si cominciò dall’Europa dopo secoli di guerre ininterrotte solo da periodi di preparazioni alle guerre: dopo il ‘45, la coscienza dei disastri delle guerre fece cosi che fu posto fine non solo alle guerre intestine ( era accaduto altre volte) ma anche alla prospettiva stesse di esse, cosa che non era mai accaduta, L’idea che Germania, Francia e tutte le altre nazioni europee potessero scontrarsi in guerra divenne un fatto inconcepibile dopo che da sempre la storia politica d’Europa era stata praticamente lo scontro armato fra le varie entità politiche Analogamente nel Pacifico il Giappone rinunciava per sempre a una espansione armata e soprattutto alla sua prospettiva, aboliva l’esercito e lo spirito di competizione veniva dirottato interamente sul piano economico. Restava qua e la, in Europa, qualche idea di rivoluzione comunista: ma la direzione dei partiti comunisti la riportavano quasi immediatamente sui binari di una evoluzione pacifica: solo negli anni 70 esplose qualche velleità rivoluzionaria ( il terrorismo) che rimase però confinata a ambienti estremamente circoscritti. All’esterno restava i problemi coloniali : l’intervento militare per Suez nel 56, la terribile guerra algerina, le lotte di liberazione in Africa . Tuttavia in un periodo stupefacentemente breve di anni breve i problemi furono risolti con l'abbandono delle colonie da parte degli Europei .
Restò il grande scontro fra comunismo e capitalismo ( mondo libero, democrazie). Fu un genere di guerra combattuta essenzialmente sotto forma di rivoluzione e controrivoluzione, guerriglia e repressione: il comunismo si riprometteva una rivoluzione mondiale, il capitalismo naturalmente si opponeva. Il conflitto sostenuto quasi esclusivamente dagli Americani durò circa 40 anni: si combatte un pò dappertutto nel cosiddetto terzo mondo: momenti particolarmente drammatici e sanguinosi ci furono in Corea, nel sud-est asiatico, in america latina, in africa (soprattutto nelle ex colonie portoghesi), in Afganistan. Il lungo conflitto terminò quasi inaspettatamente con la implosione del comunismo alla fine degli anni 80: a questo punto i paesi ex comunisti (est-europeo, Russia, Cina ,Sud-est asiatico) entrarono nell‘area della pace e si dissolse definitivamente ogni idea di rivoluzione violenta e di guerra globale al capitalismo. Solo in qualche punto ci furono scoppi di terribili guerre inter- etniche: i territori della ex Yugoslavia proruppero in atroci lotte fra i gruppi etnici terminate con l’intervento della NATO ,si ebbero scontri nel Caucaso e in particolare in Cecenia, problema tuttora non risolto Ma si trattò pur sempre di aree limitate: il passaggio al post -comunismo è stato, nel complesso, pacifico oltre ogni più ottimistica previsione. La fine del conflitto comunismo capitalismo ha radicalmente limitato anche i conflitti nel resto del mondo (vedi studio sotto presentato)
Tutta l’America Latina è stato un grande campo i fra comunismo e anticomunismo con guerriglie, rivoluzioni controrivoluzioni e repressioni feroci con episodi particolarmente atroci nel Salvador, Peru, Nicaragua e Honduras, Con la fine del comunismo internazionale gli episodi violenti sono radicalmente diminuiti di numero e di intensità. le dittature militari repressive ridotte a pochi casi: esistono gravi situazione ancora di violenza generalizzate in vari paesi: nel complesso però possiamo dire che anche l’America Latina è ormai saldamente sulla via della pace
L’africa nera invece è ancora purtroppo preda di guerre locali fra etnie, gruppi economici e religiosi: tuttavia poichè non costituisce più un campo di battaglia fra comunismo e anticomunismo i conflitti non sono più alimentati da interventi esterni dall’est o dall’ovest come era avvenuto ad esempio in Mozambico e Angola dove l’intervento esterno avevano trascinato il paese in una tragedia interminabile. La comunità internazionale appare concorde nel tentativo di circoscrivere, limitare i conflitti ,comporli quando è possibile. Tuttavia purtroppo l’africa nera è ancora il luogo in cui i conflitti sono non solo più numerosi ma anche più tragici e sanguinosi anche se non hanno in genere l’attenzione dei media: si tratta infatti di conflitti essenzialmente locali che non minacciano gli interessi e l’assetto mondiale: ad esempio la intifada palestinese benchè provochi un numero limitato di vittime tuttavia coinvolge il mondo intero mentre il genocidio dei Tutsi è un fatto locale che poco o niente incide sul resto del mondo
Il Medio Oriente islamico è invece in controtendenza: esplode il fondamentalismo religioso al quale si intrecciano gli scontri fra i gruppi etnici e religiosi mentre in Palestina rimane un problema insoluto che fa da catalizzatore a tutte le tensioni. L’attacco dell’11 settembre ha poi provocato l’intervento occidentale che, se non è riuscito a stabilizzare la situazione, la ha però posta al centro dell’attenzione mondiale, sotto la luce dei media. Benchè la situazione resti drammatica tuttavia in effetti il terrorismo islamico non si è propagato all’Occidente, resta confinato sostanzialmente nei paesi mussulmani, non ha appoggi internazionali, non si vede come possa effettivamente minacciare la pace del mondo E’stato detto molto enfaticamente che l’11 settembre segni una spartiacqua storico: in realtà ci pare una esagerazione:il mondo non è cambiato da quella data come invece è cambiato dalla Rivoluzione di Ottobre o dall’avvento di Hitler o dalla caduta del muro di Berlino Le guerre continuano in Medio Oriente più o meno come prima, in Iraq e in Afganistan sono esplose guerre locali che gli americani non riescono a controllare ma la stessa partecipazione americana in fondo è marginale: niente di paragonabile, non solo ovviamente alle guerre mondiali, ma nemmeno alla guerra del Viet- nam.: Anche In altre zone dell’Asia abbiamo ancora teatri di guerra: il più grave è quello dello Sri-lanka, si segnalano anche situazioni difficili nelle Flippine e in qualche luogo dell’Indonesia.
In conclusione possiamo pero dire che i tre quarti degli uomini ora viventi hanno la ragionevole speranza che non parteciperanno mai a guerre o rivoluzioni: è la prima volta che accade nella storia ed è avvenuto in poco più di 60 anni, una periodo molto breve sul metro della storia
Possiamo sperare che la fine di questo secolo vedrà la fine di tutte le guerre? Nessuno può dirlo ma ci pare ragionevole sperarlo.
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Comprehensive Study Shows Evidence of Major Declines in Political Violence Worldwide
http://www.publicaffairs.ubc.ca/media/releases/2005/mr-hsc-17-10-2005.html Media Release | Oct. 17, 2005
Comprehensive Three-Year Study Shows Surprising Evidence of Major Declines in Armed Conflicts, Genocides, Human Rights Abuse, Military Coups and International Crises, Worldwide. The Number of Armed Conflicts Has Dropped 40% since 1992. This Unheralded Decline is Linked to a Dramatic Increase in UN Conflict Prevention and Peace Building Efforts.
NEW YORK -- Confounding conventional wisdom, a major new report reveals that all forms of political violence, except international terrorism, have declined worldwide since the early 1990s. Supported by five governments, published by Oxford University Press and released today, the Human Security Report is the most comprehensive annual survey of trends in warfare, genocide, and human rights abuses. The Report, which was produced by the Human Security Centre at the University of British Columbia, shows how, after nearly five decades of inexorable increase, the number of genocides and violent conflicts dropped rapidly in the wake of the Cold War. It also reveals that wars are not only far less frequent today, but are also far less deadly. In tracking and analyzing these trends the Report draws on specially commissioned studies and confirms the little-publicized findings of earlier research to explode a number of widely believed myths about contemporary political violence. The latter include claims that terrorism is currently the gravest threat to international security, that 90% of those killed in today’s wars are civilians and that women are disproportionately victimized by armed conflict. Analyzing the causes of the improvement in global security since the early 1990s, the Report argues that the UN played a critically important role in spearheading a huge upsurge of international conflict prevention, peacekeeping and peace building activities. Although marred by much–publicized failures, these efforts have been the major driver of the reduction in war numbers around the world. The Report examines alternative explanations for the decline and finds them wanting. Professor Andrew Mack, who directed the Report project, says that these extraordinary changes have attracted little discussion because so few realize that they have taken place. ‘No international agency collects data on wars, genocides, terrorist acts, or core human rights abuses,’ he said. ‘The issues are just too politically sensitive. And ignorance is compounded by the fact that the global media give far more coverage to wars that start than those that quietly end.’ Key FindingsPatterns of Political Violence Have Changed
Why We Have Fewer Wars
The Human Security Report identifies three major political changes over the past 30 years that, Andrew Mack says, “have radically altered the global security landscape.” First, was the end of colonialism. From the early 1950s to the early 1980s, colonial wars made up 60–100% of all international conflicts depending on the year. Today there are no such wars. Second, was the end of the Cold War, which had driven approximately one-third of all conflicts in the post–World War II. This removed any residual threat of war between the major powers, and Washington and Moscow stopped fueling “proxy wars” in the developing world. Third, was the unprecedented upsurge of international activities designed to stop ongoing wars and prevent new ones starting that took place in the wake of the Cold War. Spearheaded by the UN these activities included:
The UN did not act alone, of course. The World Bank, donor states, regional organizations and thousands of NGOs worked closely with UN agencies––and often played independent roles of their own. But the UN, the only international organization with a global security mandate, has been the leading player. As this upsurge of international activism grew in scope and intensity through the 1990s, the number of crises, wars and genocides declined, despite the much–publicized failures. The evidence that these initiatives worked is not just circumstantial. A recent RAND corporation study, for example, found that two thirds of the UN’s peace building missions had succeeded. In addition, the sharp increase in peacemaking efforts led to a significant increase in the number of conflicts that ended in negotiated settlements. Approximately half of all the peace agreements negotiated between 1946 and 2003 have been signed since the end of the Cold War. The annual cost of these changes to the international community has been modest––well under 1% of world military spending. In fact, the cost of running all of the UN’s 17 peace operations around the world for an entire year is less than the United States spends in Iraq in a single month. The Report argues that, in the long run, equitable economic development, increased state capacity and the spread of inclusive democracy play a vital role in reducing the risk of political violence. But it also argues that these factors cannot explain the dramatic post-Cold War reduction in armed conflicts. Why Today’s Wars Kill Fewer PeopleThe explosion of international activism after the Cold War helps explain the subsequent decline in the number of armed conflicts, but it doesn’t tell us why they became so much less deadly . Here the explanation is related to changes in the nature of warfare and (possibly) in the international refugee regime:
Finally, we know that countries ruled by authoritarian regimes have higher levels of violent internal repression and gross human rights abuses than do democratic regimes. At the end of the 1970s some 90 countries around the world were governed by authoritarian regimes; by 2003 there were just 30. The decline was steepest in the post–Cold War years when the numbers of genocides and other mass killings started to drop rapidly. In addition, the Report, finds that human rights abuses declined in 5 out of 6 regions in the developing world after the mid-1990s. No Grounds for ComplacencyDespite the positive changes it documents, the Report makes clear that there are no grounds for complacency. Although wars and war-deaths are down, there are still some 60 armed conflicts raging around the globe. There are still gross abuses of human rights, widespread war crimes, and ever-deadlier acts of terrorism. And because the underlying causes of conflict are too rarely addressed, the risk of new wars breaking out, and old ones starting up again remains very real. And, as the many failures of the past––and numerous recent reports––have made clear, the UN remains in urgent need of reform if it is truly to fulfill its mandate to ‘save succeeding generations from the scourge of war’. That the world is getting more peaceful is no consolation to people suffering in Darfur, Iraq, Colombia, Congo or Nepal. To help them, policymakers need a better understanding of human insecurity. That is the central goal of the Human Security Report. The Human Security Report provides the data and analysis that can help the international community evaluate the effects of conflict prevention and resolution policies. ‘Without trend data neither international agencies nor governments can tell whether or not their efforts are succeeding’, Mack said. Additional Information
The Report can be downloaded from www.humansecurityreport.info It will be published by Oxford University Press in November 2005. The Human Security Report 2005 was funded by the governments of Canada, Norway, Sweden, Switzerland and the UK. It should not be taken to represent the views of these or any other government, or of the UN or any other agency. Professor Andrew Mack is Director of the Human Security Centre, at the Liu Institute for Global Issues, University of British Columbia. He was Director of the Strategic Planning Unit in the Executive Office of UN Secretary-General Kofi Annan 1998-2001. He has held research and teaching posts at Harvard, the London School of Economics, and the University of California, and in Australia, Denmark, Hawaii and Japan. His career has included periods as a pilot in the UK’s Royal Air Force, as a meteorologist in Antarctica, as a diamond prospector in Sierra Leone and as a journalist with the BBC
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