L’Europa ko?
Macché, sarà una superpotenza»
di
ROBERTO BERTINETT
,
«NON credo affatto che l'Europa sia debole perché si è divisa
sull'intervento militare in Iraq e sul ruolo dell'Onu. Penso, al
contrario, che entro poco tempo diventerà l'unica superpotenza in grado
di contendere agli Usa la leadership politica del mondo globale».
vede per il pianeta un futuro assai diverso da quello proposto
all'inizio degli anni Novanta da Samuel Huntington, teorico di un
possibile scontro di civiltà tra Occidente e Islam, o da quello
immaginato oggi dai neoconservatori che difendono l'unilateralismo della
Casa Bianca e definiscono l'Europa “un pigmeo sotto il profilo
militare". Per riassumere il suo punto di vista sui rapporti
transatlantici Kupchan ha scritto The End of the American Era, un
saggio ampiamente citato e discusso durante le ultime settimane da tutti
i più autorevoli commentatori statunitensi.
La tesi che Kupchan prova a dimostrare con la sua lunga e dettagliata
analisi va controcorrente rispetto alle opinioni di altri studiosi. A
suo giudizio, infatti, gli Usa sono destinati ad assistere nel corso dei
prossimi anni al tramonto di molti primati che attualmente vantano in
campo economico o scientifico e corrono il rischio di venire superati
dall'Europa. «Anche l’Impero Romano sembrava invincibile prima del IV
secolo. Poi si spezzò in due, nacque l'Impero d'Oriente e Bisanzio
acquisì un'importanza in precedenza sconosciuta. La storia conferma che
l'inizio del crollo dei grandi imperi coincide sempre con il punto della
loro massima potenza. Accadrà anche per gli Usa. E Bruxelles potrebbe
diventare la Bisanzio del XXI secolo», argomenta Kupchan in uno dei
capitoli centrali di un libro nel quale l'analisi del passato si
intreccia con l'indagine sul presente ed entrambe contribuiscono alla
definizione di un futuro possibile.
Professor Kupchan, sulla base di quali elementi lei fonda la sua
previsione di un ruolo internazionale sempre più importante per l'Europa
nel corso dei prossimi anni?
«Nonostante non abbia ancora un assetto ben definito sotto il profilo
istituzionale, l' Unione Europea costituisce un'entità politica stabile,
in grado di fare da contrappeso agli Usa sul piano diplomatico. Senza
contare che il prodotto interno lordo dell'intero continente è di circa
nove milioni di euro, di poco inferiore a quello americano, che entro
qualche mese sarà definita una bozza di costituzione, e che si discute
sul progetto di un leader eletto direttamente e di un unico ministro
degli Esteri. Certo, sotto il profilo della forza militare la disparità
resta notevole. Ma non durerà a lungo. Perché la Nato sta vivendo i suoi
ultimi giorni e i governi europei saranno chiamati a decidere come
gestire la propria sicurezza. L'America, del resto, mi sembra abbia
ormai avviato un processo di progressivo disimpegno militare
dall'Europa. Presto anche i paesi che ancora oggi contano sulla
protezione delle forze armate Usa dovranno guardare a Bruxelles per
mettere a punto un sistema di difesa. Non credo, infatti, che Washington
abbia intenzione di costruire basi in Polonia o in Ungheria. La nuova
Europa che sta nascendo avrà un suo esercito e una gestione comune della
politica estera».
Come spiega la nascita di un sentimento anti-americano in Europa e di
un fastidio sempre più evidente verso l'Europa negli Usa?
«Ci sono molti motivi alla radice del recente deterioramento dei
rapporti transatlantici. In sintesi, direi che per quanto riguarda
l'Europa pesa soprattutto l'unilateralismo teorizzato dall'attuale
amministrazione Bush, che si è manifestato in particolare in una scarsa
attenzione nei confronti delle istituzioni internazionali. La scelta di
Washington di dire no alla firma del Protocollo di Kyoto sull'ambiente e
di polemizzare in maniera così aspra con l'Onu prima dell'intervento in
Iraq ha fatto crescere l'anti-americanismo già presente in Europa.
L'anti-europeismo statunitense è, invece, alimentato dalla Casa Bianca.
Mi sembra, infatti, che Bush non perda occasione per presentare l'Europa
come un ostacolo per i suoi progetti, un peso per l'America piuttosto
che un alleato».
Con Gore al posto di Bush la politica americana avre
bbe
seguito una strada diversa?
«Forse i rapporti transatlantici sarebbero oggi migliori, ma esistono
interessi economici e processi demografici che spingono nella stessa
direzione sia i repubblicani che i democratici. Se un candidato
democratico dovesse vincere le elezioni presidenziali del prossimo anno
probabilmente i toni polemici tra Washington e alcune capitali europee
avrebbero una minore intensità, anche se non credo che sarà più
possibile ricostruire il clima di reciproca fiducia di un tempo. Io, del
resto, avevo completato la prima versione del mio libro prima della
sconfitta di Gore. L'arrivo di Bush e dei neoconservatori alla Casa
Bianca ha solo impresso maggiore velocità ad un processo che era già in
corso da tempo. L'Europa ha acquisito una forza economica che in
precedenza non possedeva e ha una moneta in grado di rappresentare una
alternativa al dollaro sul mercato internazionale delle valute. E’
dunque inevitabile che i suoi interessi non coincidano più con quelli
degli Stati Uniti. Senza dubbio ci sarà una battaglia politica. Con
esiti difficili da prevedere, visto che oggi non è ancora chiaro se si
sta andando verso un'amichevole separazione consensuale o se, al
contrario, dovremo fare i conti con una lunga e difficile causa di
divorzio. Mi auguro che si realizzi la prima ipotesi, perché
permetterebbe di ridefinire in maniera non traumatica i rapporti
transatlantici».
Quale sarà il ruolo internazionale della Gran Bretagna nei prossimi
anni?
«Mi sembra che il tentativo di Tony Blair di costruire un ponte tra
l'America e l'Europa sia destinato al fallimento e che in futuro non ci
sarà più spazio per l'antico "legame speciale" tra Londra e Washington.
Penso che l'Inghilterra si avvicinerà all'Europa e che cercherà di
diventare protagonista sullo scenario continentale, magari alleandosi
con i Paesi dell'area orientale che stanno entrando nell'Unione. Del
resto Blair sa bene che un ruolo di leader europeo di prima grandezza è
molto più importante di quello di "junior partner" degli Stati Uniti».
Perché nel suo volume si occupa poco della Cina, ritenuta da molti
analisti una seria minaccia alla supremazia Usa?
«Ci vorrà ancora molto tempo prima che valga la pena di prendere in
considerazione questa ipotesi. Attualmente la Cina è una potenza
regionale con una forza economica inferiore a quella della California.
Nel mio libro cerco di mettere a fuoco un futuro più vicino a noi,
rifletto sugli scenari del prossimo decennio. Che sarà segnato dalla
rivalità tra Europa e America, mentre la Cina continuerà ad avere un
ruolo secondario e dovrà aspettare almeno il 2025 prima di poter
competere con altre aree del pianeta decisamente più sviluppate».
|